Reputazione? Fondamentale. Lo sanno bene le Banche
‘Si può fare‘, si recitava, a gran voce, in un celebre film del 1974, diretto da Mel Brooks. Come a dire che tutto è possibile, persino che la prospettiva con cui si osserva ad un certo settore, nel tempo, muti. Merito dei giorni che passano che, evidentemente, sono usufruttuari di esperienza e, meglio, ci forniscono la dimensione di tutte le cose. Gioco forza della pandemia, che ha spostato il baricentro dei cittadini.
Pertanto, anche ciò che ci appariva ‘distante’ e tale eravamo in animo che rimanesse, ad un certo punto si è dimostrato, inaspettatamente, amico. Vale a dire che le Banche, ad esempio, fino all’avvento del Covid percepite unicamente come latrici di ‘prodotti’, nel post pandemico si sono tradotte in Istituzioni. Veri e propri punti di riferimento, su cui far conto.
Un’orgogliosa crescita di reputazione, attestata, di recente, da un’analisi condotta da RepTrach, Società globale, specializzata, per l’appunto, in misurazione e advisory, sulla reputazione aziendale.
Ebbene, stando al report, le emergenze, sanitaria ed economica, hanno spalancato la strada alla trasformazione digitale; all’aumento significativo, da parte di Banche e affini, dell’investimento, riguardo al benessere dei rispettivi dipendenti; ad una serie di iniziative di carattere locale, nonché alla spinta verso i temi Esg.
La tecnologia, in particolare, ha finito per assumere i connotati di un vantaggio, non solo competitivo a se stante, ma strumento d’accompagno ad un significativo sviluppo di soluzioni. Una sorta di upgrade, in sintesi, capace di cogliere i cambiamenti sociali e muoversi, dunque, di conseguenza, in favore delle istanze in essere.
I ‘driver’ reputazionali più gettonati? Nell’ordine:
- Citizenship (+4,9%), ovvero la capacità dell’Azienda di agire come un cittadino modello
- Workplace (+5,5%),gli sforzi per migliorare luogo e condizioni di lavoro
- Governance (+4,4%),ossia la predisposizione, nel sapersi distinguere come attori etici e trasparenti
E, a fronte del suddetto quadro, cresce maggiormente chi ha saputo prestare ascolto e offrire spazio al fattore ‘umano’. Dall’attenzione alle esigenze dei clienti ad una più misurata attenzione nei confronti del personale; all’attitudine, ormai manifesta, nel sapersi sostituire al ‘pubblico’, laddove, in specie, si offrissero servizi, legati al Welfare o alla sanità.
Nel comparto assicurativo, ancora, si è imparato che non basta lavorare sul concetto di ‘protezione’, bensì occorre approfondire quello di ‘prevenzione’, senza risparmiare un occhio alla sostenibilità.
Delineati i fondamentali, come si sono posizionati i vari player? Sempre stando al resoconto, si sono suddivisi in quattro sezioni:
- Innovatori sociali. Coloro, cioè, che hanno registrato le migliori performance. Spiccano, tra questi, Unipol, Sella, Fineco, Credem e Intesa San Paolo
- Presenze storiche. Mediolanum, Credit Agricole, BancoPosta, Poste Italiane, Unicredit. Aziende rinomate, ma non ancora in grado di individuare la chiave, per proporsi in maniera innovativa
- Challenger. Da Allianz a Generali, da Groupama a Cattolica, a Reale Group. Degne di nota, ma non ancora mature, nella costruzione della propria configurazione
- Tuners. Bper, Bnl. Aziende, in pratica, in fase di fine tuning, ossia ancora nell’opzione di riadattare il modello al contesto
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