Fatevene una ragione: a Roscigno il tempo di passare non ne vuole proprio sapere

Fatevene una ragione: a Roscigno il tempo di passare non ne vuole proprio sapere

Nel Cilento, non lontano da Salerno, si trova un borgo fantasma. Uno di quei posti poco menzionati ma che, stando a chi li conosce, vale sempre la pena visitare. Il nome, del resto, non è del tutto sconosciuto. Si tratta di Roscigno Vecchia, località inserita nell’elenco dei siti Patrimonio Unesco, dal 1998.

I continui smottamenti causati dal terreno carsico, hanno costretto, negli anni, gli abitanti ad abbandonare le proprie abitazioni, per trasferirsi altrove. Due – nel dettaglio – furono le ordinanze del Genio Civile che imposero lo sgombero, risalenti rispettivamente al 1907 e al 1908. Ma i cittadini, innamorati della personale realtà, impiegarono diverso tempo, prima di accettare di dover lasciare le proprie case. Così, fino al 1960 nessuno o quasi si mosse. Ci fu, in seguito, chi seguì la via delle Americhe e pure chi, assai più modestamente, si spostò di soli due km. Così nacque Roscigno Nuovo.

Se un pochino state inciampando in un sorriso, c’è poco di male. Ma va detto, per rendervi al meglio l’idea del legame degli oriundi con il territorio di appartenenza che, in seguito alla migrazione, rimasero comunque tre oltranzisti. Luigi, Grazia e Teodora non si mossero,, a tal punto che l’ultima, un’ex suora, meglio conosciuta come Dorina, rimase nella piccola realtà fino alla morte, datata 2000, all’età di 85 anni.

Ad ereditarne il posto, nel 2001, Giuseppe Spagnuolo, detto Libero. Dopo aver girato il mondo, l’uomo decise di tornare e quando – tuttora – gli viene chiesto come ama definirsi, risponde che si considera, nei confronti della cittadina, il primo residente del nuovo millennio. In effetti, è solito accogliere i turisti e far loro da guida, alla scoperta di un borgo, che può considerarsi un vero museo a cielo aperto.

Giuseppe Spagnolo, l’unico cittadino di Roscigno Vecchia

La modernità, qui, non ha intaccato le strutture. Pare, anzi, che il tempo si sia fermato, lasciando una testimonianza urbanistica di una comunità agro-pastorale, compresa tra il 1700 e il 1800.

Intorno al 1980 nacque, poi, la Pro Loco ed il Museo della Civiltà Contadina, la cui sede si ripartisce nelle sei sale dell’ex-Municipio e dell’ex canonica. Attraverso fotografie, utensili e racconti, le stanze ricordano la storia scandita in tempi ancora lenti; rievocano il lavoro svolto nei campi e la fatica nell’allevare gli animali.

Ancora oggi i pastori portano le mandrie ad abbeverarsi nella piazza principale, piazza Giovanni Nicotera, dove si affaccia la Chiesta settecentesca di San Nicola di Bari. Al centro, si distingue una fontana circolare, mentre lateralmente spicca ancora un abbeveratoio. Alcune delle case sono state trasformate in stalle o deposito per gli attrezzi. Il resto, senza dirvi di più, rimane un piccolo incanto. Qualcosa di cui nutrire gli occhi e l’anima. Il mistero di un passato che più svelato di così non si può, eppure c’è ancora tanta voglia di andare a curiosare…

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