La favola nera della ‘Casa del Demonio’
Negli anni della peste di manzoniana memoria, era diventata la residenza di Ludovico Acerbi, eccentrico personaggio, senatore milanese che, nonostante infuriasse il contagio, teneva ogni sera sontuose feste nel salone da ballo.
Lo aveva fatto decorare a fresco, ironia della sorte, proprio nel 1630, all’inizio dell’epidemia. E quei suoi comportamenti fuori dall’ordinario, insieme all’architettura stessa dello stabile, in piena rispondenza Barocca e che portava il suo nome, avevano finito per invischiare realtà a sinistre fantasie e convincere molti, riguardo al fatto che quelle stanze ospitassero il Diavolo in persona.
Satana aveva fatto di Palazzo Acerbi la personale dimora. Un avamposto e, del resto, barba lunga e quadrata, occhi infuocati ‘come la bragia‘ – secondo quanto avrebbe raccontato di Caronte il buon Dante Alighieri – e ghigno satanico contribuirono, tutti assieme, a rendere l’uomo una sorta di leggendario personaggio, velato da chissà quale mistero…
Acerbi usciva tutti i giorni alla stessa ora, puntuale. Quando si faceva sera, si confondeva con il tramonto, la carrozza trainata da sei cavalli neri, pomposamente scortato da sedici staffieri sbarbati, in livrea verde dorata.
Né giovane né vecchio, né magro né grasso, né bianco né nero. Era superbo, arrogante e con uno spiccato senso per l’ostentazione. Adorava i gioielli e si narra fosse un buontempone. Si divertiva a scorrazzare, curiosando tra i vicoli della città devastata, mantenendo, al sicuro nella sua elegante carrozza, le opportune distanze. Non c’è da meravigliarsi, quindi se, in quegli anni tenebrosi, il popolo meneghino immaginasse di riconoscere nel gentiluomo, godurioso e spavaldo, l’incarnazione di Belzebù.
Dunque, ‘Satana’ si presentò al cospetto della bella Milano nel 1615, per incarico del governo spagnolo e, ricchissimo, si rese subito inviso ai cittadini, ostentando tutto lo sfarzo possibile, proprio nel momento in cui il centro abitato cadeva in disgrazia.
I nobili fuggivano verso la campagna. Acerbi no. Proseguiva ad organizzare eventi, lasciando che la sua risata risuonasse in quel deserto di morte. La gente, stremata, passando sotto il caseggiato sentiva la musica, le grida e poi lo vedeva uscire, la sera, o affacciarsi alla sesta finestra del primo piano e non c’erano appestati tra i suoi ospiti. Si diceva che rendesse immune dal morbo chiunque gli stesse accanto. E, nonostante quella sua vita dissipata, sopravviveva a tutto, persino alla vecchiaia.
I milanesi non avevano dubbi: era il Demonio. Doveva esserlo.
Lucifero, pronto ad acquistare da Pietro Maria Rossi, conte di San Secondo, l’edificio, al numero 3 di Corso di Porta Romana. Lo fece restaurare in stile barocchetto lombardo, tanto che, ancora oggi, si riconoscono, nella facciata, le mascherine leonine ornamentali e i balconcini in ferro. Questi ultimi aggiunti, tuttavia, nel Settecento.
All’interno, due corti porticate su colonne (la seconda in Rococò, con statue e rampicanti); il fronte, su tre piani; ampi saloni in marmo, con sculture, quadri di gran pregio, stucchi, specchi e tappezzeria di seta. Un vasto e luminoso scalone a tre rampe, che conduceva all’appartamento padronale, l’unico ad aver mantenuto le decorazioni originarie. Infine, il giardino, arricchito da piante esotiche e fontane. Prestigioso punto di fuga, in direzione della Capitale.
Dell’antica costruzione restano, ora, il cancello in ferro battuto; il cortile con i portici a colonna; lo scalone, con gli angeli in bronzo e le pitture ornate da stucchi, sui muri e sul soffitto del salone dei festeggiamenti.
Un mondo, talmente perfetto da suonare inquietante. Un posto enigmatico, sede prediletta di colui del quale, secondo un anonimo cronista del tempo, nessuno osava pronunciare neppure il nome…
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