Cipolla di Breme: la ‘dolcissima ‘ della Lomellina
Chiamatela pure cipolla, se lo desiderate, ma sappiate che, per chi se ne intende, è sinonimo di Alta qualità. Quella di Breme è – difatti – una particolare varietà, coltivata – solitamente – in provincia di Pavia. Un’eccellenza, in tutto il Paese, ma anche in Europa e capace di rendersi protagonista di numerose ricette.
In Lomellina, terra di risaie e castelli, il prodotto in questione si distingue, dunque, in quanto Presidio Slow Food (dal 2020) e De.Co (dal 2008). Dolcissima, croccante e dalla tinta rosso violacea, è assai apprezzata – per le caratteristiche appena elencate, dagli chef stellati; non disdegnata neppure – pensate un po’ – da sua maestà Elisabetta II.
Ebbene, stando agli esperti, la sua produzione sta vivendo una feconda età dell’oro. Da cinque pertiche milanesi e una manciata di produttori, per diletto, si è passati, in meno di una ventina di anni, ai 12 ettari attuali e un’associazione, che comprende 16 aziende, dedite alla coltivazione del prodotto. Del resto, è buona (il che non è poco) e, per di più, versatile. In cucina si presta, in pratica, dall’antipasto al dolce. C’è chi, addirittura, riesce a ricavarne un eccezionale gelato.
Pur ricordando la Rossa di Tropea risulta, per conformazione, più grande e schiacciata. Il bulbo, delicato, è profumato e si sa far notare per le dimensioni. Una sola cipolla riesce a raggiungere il peso medio di 600-800 gr. Matura – in genere – ad inizio estate, in quel di giugno e, a metà mese, nel borgo da cui ha ereditato il nome, si tiene, da più di 40 anni, la sua storica sagra.
Merito di cotanta prelibatezza, il terreno: soffice, sciolto ed affatto argilloso. E se i produttori, al passo con i tempi, approfittano dei vantaggi del marketing per promuoverne la diffusione, al di là del territorio locale, è anche vero che, da queste parti, si opera alla maniera di una volta. Tradizione alla mano, le macchine rimangono fuori dai campi, i fertilizzanti sono naturali; mentre l’irrigazione si mantiene manuale. Il ciclo germogliativo – poi – in garze di juta, avviene a metà agosto. A metà ottobre si trapiantano, in campo aperto, le piantine. A giugno – lo anticipavamo – le si raccoglie.
Qual è l’origine di una simile bontà? Nel 1906, i monaci della Novalesa, in Val Susa, si trasferirono in una abbazia, per l’appunto, presso Breme. Scoprirono, così, che la striscia di terreno lungo il torrente Sesia, fertilissima e generosa, era ideale per la coltivazione delle cipolle. Non immaginavano, certo, l’enorme successo che ne sarebbe derivato… D’altronde, l’intera popolazione, agli inizi dello scorso secolo, si dedicava alla coltivazione di verdura, nonostante, dal Secondo Dopoguerra, la produzione del riso avesse soppiantato, quasi totalmente, quella degli altri ortaggi.
“Ogni anno” – racconta chi ne sa – “vengono prodotti circa 2 mila quintali di bulbi, di cui circa il 30% destinato alla sagra. È richiestissima da privati, negozi e GDO. Tuttavia, ristoranti, bistrot e pure le pizzerie che ne fanno domanda, si contano in costante aumento. Ormai, la domanda supera l’offerta e c’è sempre chi fa un ordine a fine luglio, quando sono praticamente introvabili“.
Un viaggio, quello della Dolcissima che – tra l’altro – è super digeribile e non lascia l’alito sgradevole, che si spinge – anche di questo ne avevamo fatto cenno – a Parigi, Praga e persino sugli yatch al largo di Ibiza, protagonista delle esclusivissime cene di bordo.
E, non solo la nostra allieta il palato, ma fa – pure – bene alla salute. Contribuisce nell’abbassare i livelli del colesterolo; dona vigore e tonicità alle arterie. E’, inoltre, un’inestimabile miniera di vitamina C, vitamina E, ferro, selenio, iodio, zinco e magnesio. Una sorta, in sintesi, di antinfluenzale naturale. In più, vanta un elevato potere drenante: sgonfia e contrasta gli inestetismi, derivati dalla ritenzione idrica.
I piatti con cui meglio si sposa? I tipici, naturalmente. Si va dall’insalata, con nervetti e cipolle all’associazione con tonno e fagioli bianchi; ma ci sono anche le zuppe, i risotti… Ancora, le frittate, le pizze, in accompagno alle acciughe o come parte di prestigiosi ed insoliti dessert. Si adatta – d’altra parte – a fare da base per marmellate, come pure per le crostate.
Mai provato il Carpaccio di pomodoro e cipolla di Breme? La ricetta, edita dallo chef Riccardo Carnevali, prevede che le cipolle vengano tagliate, finemente, insieme al pomodoro, per poi condire entrambi, per mezzo di un’emulsione di olio d’oliva, sale di Maldon, pepe e completare con qualche fogliolina di basilico.
Da provare, sempre a fettine sottili, in insalata greca con feta, cetrioli, olive nere e salsa tzatziki, ma anche conservata in agrodolce (con un tocco di miele, magari) o caramellata, da aggiungere ad un burger.
C’è chi, come Federico Sgorbini, chef del ristorante Lino di Pavia, la propone in due versioni gourmet, tra i best off che simboleggiano il legame con le proprie radici. La tartelletta con la Cipolla di Breme, Grana Padano, perle di tartufo nero e gelato alla senape in grani e il Maiale nero di Lomellina, abbinato al dolceforte, alla cipolla di Breme e tamarindo.
Un’ultima chicca va, infine, riservata alla longevità. L’Università di Pavia e la Banca del germoplasma vegetale hanno, infatti, messo al sicuro i semi della Dolcissima nella Global Seed Vault, presso le isole Svalbard, una banca del seme a -18 gradi, dove si trovano esemplari antichissimi, provenienti da tutto il mondo.
Se ancora non siete convinti, sappiate che, nelle sue peregrinazioni, la rossa di Breme viene esportata anche oltre il Canale della Manica, ricercata da clienti parecchio noti: i magazzini Harrods e Buckingham Palace. E se piace pure alla Regina, cos’altro c’è da aggiungere?
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