Quelle idee esageratamente esotiche che poi… falliscono

Quelle idee esageratamente esotiche che poi… falliscono

Dici pizza… pronunci Italia e che Italia… ne catturi il cuore storico, l’anima pulsante, verace e giocosa, la vivacità, la tecnica, la fantasia… già, la fantasia che, spesso, si spinge oltre, ma non, evidentemente, così oltre…

Fatto sta, la pizza in versione Americana, quella con tanto di ananas a farcirla, non piace. Domino’s Pizza Italia ha chiuso i battenti, definitivamente, lo scorso 20 luglio, interrompendo l’attività dei suoi 29 locali, sparsi lungo la Penisola. E non è un caso. Il Tribunale di Milano ha avviato le procedure di fallimento per la catena in franchising della multinazionale EPizza Spa, nota per le sue pizze made in Usa

NEL DETTAGLIO…

Il marchio, nato nel Michigan – Stati Uniti – nel 1960, è presente in 85 paesi. Dunque, era sbarcato anche da noi, il 5 ottobre del 2015. Il primo locale aveva aperto a Bisceglie – non il capoluogo pugliese, bensì la periferia di Milano – con la promessa, almeno nelle intenzioni, di conquistare il mercato dello Stivale. Pizza a domicilio per tutti, insomma, e via. E invece… a fronte di un home delivery in costante aumento, spazio ancora poco praticato e, quindi, campo aperto per gli ardimentosi, qualcosa deve essere andato storto.

Nel menù, oltre alle classiche Italian Traditional, condite con ingredienti, tipici nostrani, si aggiungevano le Domino’s Legend, reinterpretazioni ‘americaneggianti’. Tra queste, la Pepperoni Passion e la Hawaiana, appunto. Tratto distintivo del Brand, anche la possibilità di scegliere il cornicione, ripieno di formaggio. Prodotti che, di certo, facevano storcere il naso agli intransigenti della tradizione, ma che – altrettanto – incuriosivano; soprattutto gli esterofili, fan delle riletture pop

Alle origini della chiusura, stando all’istanza di fallimento presentata dall’Azienda, il calo del fatturato, durante il periodo del Covid-19. Il lockdown ha, difatti, incentivato, tra le piccole pizzerie di quartiere, le consegne a casa, incrementando le app di food delivery e, di conseguenza, la concorrenza, per catene che, precedentemente, detenevano – indiscusse – la supremazia del servizio.  

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