Dahmer vs. Dahmer, temerario racconto ad un passo dal vero
Docu-fiction, film, serie tv. Pare, questo, il momento di Jeffrey Dahmer. Il rispolvero dell’anti eroe, capace di catalizzare l’attenzione dei telespettatori e incollarli allo schermo, sorta di rivalsa, nei confronti di un destino avverso. Quello, che, evidentemente, lo ha accompagnato per l’intera sua esistenza.
E, uno via l’altro, il successo si sente. Pesa, come pesano i guadagni ottenuti, in questi giorni, da produttori ed affini. Del resto, come non perdersi nella fascinazione di una storia – lasciateci passare il termine – extra dark, costellata di cadute, rivolta verso un abisso da cui non c’è ritorno?
Inchiodati alla sedia, dunque, in molti – anzi, no, in moltissimi – hanno già ‘divorato’ i 10 episodi di Dahmer – Mostro, La storia di Jeffrey Dahmer, targati Netflix. 50 minuti ogni puntata, per il racconto di fatti realmente accaduti; presi, istante dopo istante, a sviscerare la figura di uno tra i serial killer più efferati d’America. Un criminale, accusato di cannibalismo, a danno di ben diciassette vittime, uccise nell’arco di dieci anni.
La cronaca, in tal senso, è facilmente ripercorribile. Eppure, entrando nei dettagli, è possibile rintracciare una serie di differenze. Licenze di scrittura, che non appartengo alla realtà.
Partiamo da quel che riguarda Glenda Cleveland, vicina di casa del pluriomicida. La figura in questione è liberamente ispirata a quella di Pamela Bass, che viveva nello stesso pianerottolo di Dahmer ma che, mai, ha mostrato sospetti sul suo conto. Tanto che, il famoso sandwich offertole dall’assassino, Lei lo ha mangiato, ignara.
Altro dato non del tutto inerente alla documentazione è la vicenda di Konerak. Sono state tre e non due le donne che, una volta fuori dall’appartamento di Jeffrey, hanno chiamato la Polizia. Telefonata, questa, autentica. Né esiste traccia del fatto che Sandra Smith, figlia di Glenda, sia mai stata arrestata, dopo l’aggressione ad un giovane intento a scatatre foto, proprio sull’uscio del ‘famigerato’ palazzo.
Proseguendo, i due poliziotti, John Balcerzak e Joseph Gabrish, dal canto loro, sono realmente esistiti e corrispondono proprio ai due agenti che hanno rimesso Konerak nelle mani di Dahmer. Ebbene, in verità – e per fortuna – non sono mai stati insigniti di alcuna ricompensa. Dopo essere stati licenziati, nel 1992, sono – semplicemente – tornati nella loro unità, due anni dopo.
La serie, narra dell’assunzione di Dahmer presso un laboratorio di analisi. Accadimento vero, questo, ma mai risulta che l’uomo abbia riportato a casa sacche di sangue dei pazienti, per berlo.
Riguardo alla relazione con Tony Hughes, il ragazzo sordomuto, sembra che la narrazione sia rimasta fedele a quanto accaduto. Ciò non di meno, la faccenda non è del tutto chiara. La madre di Tony aveva dichiarato – a suo tempo – che il figlio le aveva rivelato di aver trovato un nuovo lavoro, due settimane prima dell’omicidio e che il datore in questione si chiamava Jeffrey. Il 31enne è stato visto per l’ultima volta lasciare il Club 219, a Milwaukee, il 24 maggio 1991, dopo aver accettato di tornare nell’appartamento di Dahmer.
Altre fonti sostengono, invece, che i due si conoscevano da un po’. E se lo stesso serial Killer ha spiegato di non aver mai incontrato il ragazzo, prima della notte dell’omicidio; un amico della vittima ha invece sostenuto, a più riprese, di aver visto precedentemente l’accusato a casa della sua preda, in almeno sei occasioni.
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