A me gli occhi, please!

A me gli occhi, please!

Amato, insopportabilmente detestato, poiché troppo complicato da gestire e… soprattutto, selettivo, non per tutte, giacché ogni individuo è diverso e margini non corrispondenti richiedono metodi differenti per inserirlo. Già, dal momento che, messo in maniera disattenta o poco consapevole, invece di migliorare la situazione, la peggiora inesorabilmente.

Arlecchino di uno tra i punti focali del volto. Allegretto, che chiama creatività e che, al momento, si porta – tendenza vuole – nero. Il non-colore per eccellenza impone che si intraprenda un inatteso viaggio, declinato di tratteggi e di linee interrotte; di forme estreme, che si spingono fino alle tempie; disegni grafici, che elevano lo sguardo, a status di tela. Basta, del resto, l’eyeliner a fare il look, magari reso più audace da sopracciglia decolorate, per un contrasto, ancora più cool.

Le origini, d’altronde, lo pretendono antico, lontanissimo nel tempo e se, come lo conosciamo oggi, è il risultato di una serie di trasformazioni susseguitesi negli anni, per rintracciarne gli ‘antenati’ occorre spingersi fino in Egitto, patria del khol (nei paesi arabi) e del kajal (nei paesi asiatici).

Si trattava, inizialmente, di un mix di polveri miste, a base di grasso animale, utilizzato – anche – per prevenire le infezioni, proteggere la vista dai raggi solari e – pensate – persino i bambini dal malocchio. Scopi medici, primariamente, a dispetto di quelli estetici. Ci si ispirava, allora, nella forma, all’occhio del gatto, adorato come animale sacro.

Più in là, in epoca Romana, le donne facoltose iniziarono a truccarsi, unicamente con lo scopo di apparire più belle. Contornavano gli occhi con il piombo e lo utilizzano anche per realizzare piccoli nei sul viso, gli splenia.

Bandito nel Medievo, il nostro fece la sua ricomparsa durante il Rinascimento, periodo di floridezza generale, vero florilegio delle forme. L’attribuzione maggiore, tuttavia, giunge con il ‘900. Dagli inizi dello scorso secolo e tuttora rappresenta un punto di riferimento nel make up. Così, negli anni’20, ballerine e dive del Cinema muto lo adoperavano, per conferire un più alto grado di intensità alla loro espressione. Appena poco più in là, nel ’50, divenne un must, in abbinamento al rossetto e allo smalto. Portatao a pagoda da Marilyn, a forma di virgola dalle Signore bene. Oggi lo definiremmo flick eye, o meglio, a guizzo.

Tratto, che si fece più spesso ed evidente nel decennio successivo, applicato anche nella rima inferiore. Il cut-crease, sfoggiato da star come Twiggy o Sophia Lorenpoteva essere più o meno intenso, a seconda della sfumatura che veniva realizzata nella piega tra palpebra mobile e fissa.

In accoppiata con colori sgargianti e vivaci negli anni ’80, nel 2000 Amy Winehouse ne fece il suo marchio di fabbrica ed oggi…

Beh, ve lo abbiamo anticipato. Ritorna in auge l’aggressività felina, a dimostrazione del fatto che, pur con il trascorrere dei secoli, tutto cambia, nulla cambia.

LEGGI ANCHE: Quello sguardo incantatore… tipico delle Sirene

LEGGI ANCHE: Make Up: come ti apro quello sguardo…