Roma e l’insolito racconto del suo nome segreto

Roma e l’insolito racconto del suo nome segreto

Ogni città, ogni borgo… insomma, ogni Paese ha una storia, miscellanea di cultura, racconti e tradizioni da tramandare. Non tutti sanno, però, che spesso, in riferimento alle diverse località, esisteva un nome segreto che le identificava. Un’appellativo, destinato a rimanere nascosto. Così era per molti luoghi e tale era, anche per Roma.

Veniamo, dunque, a sapere, stando alla letteratura, che Pascoli, nel suo Inno a Roma, aveva ribattezzato la Città eterna Amor, palindromo del nome stesso. Evidente dedica della Capitale a Venere, dea della bellezza, che si ricollegava al culto di colei che mise al mondo Enea e la sua stirpe. Altri studiosi sostengono, invece, la tesi del riferimento a Maia, la Pleiade, Madre di Mercurio e, a tal proposito, si racconta che – addirittura – il poeta Ovidio, per aver osato far menzione della faccenda, abbia pagato con l’esilio.

Parlarne rappresentava, difatti, un sacrilegio. Non dimentichiamo che i Romani si rifacevano all’antico rito dell’Evocatio, attraverso cui si invocava, pronunciandone il nome, il dio protettore di una determinata zona. Cerimoniale che si teneva, di solito, davanti alle mura, in specie durante un assedio. Conoscere e divulgare questo tipo di contenuti in contesti diversi voleva dire, quindi, armeggiare, al fine di impadronirsi dell’essenza dell’area assediata e sottometterla.

Più in generale, esistono diversi aneddoti sulla questione dell’etichetta ‘sottotraccia’. Si dice, ad esempio che, sin dall’antichità, ad ogni posto potessero appartenere tre diverse definizioni: una sacrale, una pubblica e l’altra, segreta. Quest’ultima, in particolare, esprimeva l’energia di ciò che andava a definire.

Nel dettaglio, chiamare qualcosa con un nome diverso e sconosciuto significava renderlo vivo, conferirgli concretezza. Era, anche, una definizione di potere, privilegio di influenza, nel bene o nel male, sull’oggetto del proprio discorrere.

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