Ma quanti ‘cavolo’ di poteri hai?
Shampoo, scrub per il viso e poi tutte le peculiarità che lo rendono amico dell’ambiente e un rinforzo salva polmoni. Sono davvero tanti i pregi del cavolo, messo – di recente – sotto i riflettori, insieme a tutta la sua famiglia.
Broccoli e cavolfiori in primo piano, insomma, a dimostrare che le molecole contenute in queste verdure possono aiutare a mantenere una barriera sana nei polmoni e alleviare le infezioni. E c’è pure chi, dal canto suo, spiega di aver sviluppato una nuova tecnica per convertire i rifiuti del cavolo, in prodotti per la salute e la cura personale, riducendo gli sprechi alimentari e le emissioni.
PRESERVIAMO IL PRODOTTO PER INTERO
D’altronde, ogni anno, milioni di tonnellate di cibo e verdure vengono scartate, a livello globale. Nel caso degli ortaggi a foglia, gli agricoltori eliminano le parti esterne, man mano che vengono raccolte, al fine di vendere verdure di dimensioni perfette ed esteticamente gradevoli, senza segni di danneggiamento o ingiallimento. Un pratica espressamente commerciale, che si traduce nello scarto di una quantità significativa di prodotto, altrimenti buono e commestibile.
Ebbene, concentrandosi sui composti bioattivi nel cavolo, i ricercatori hanno messo a punto un metodo, che permette di evitare di riscaldare o pretrattare gli scarti e rende più semplice e low cost il processo di estrazione del ‘tesoro’. Vale a dire, le sostanze fitochimiche utili del vegetale (polifenoli, carotenoidi e clorofille). Una procedura, presto utilizzabile su larga scala e conveniente per l’industria. “I nutrienti estratti possono essere potenzialmente utilizzati per applicazioni in prodotti per la cura della persona, cosmetici, integratori alimentari ed estratti di erbe“, chiarisce chi ne sa.
Missione: economia circolare, con zero rifiuti. Gli esperimenti di laboratorio, per parte loro, hanno condotto all’ottenimento di un estratto, 2,2 volte più ricco di polifenoli, rispetto ai metodi convenzionali. Non solo. Le sostanze fitochimiche bioattive sono rimaste “attive” dopo la conservazione a quattro gradi Celsius, per 30 giorni. Rubando le parole degli scienziati: “Un’eccellente durata di conservazione”.
PRESERVIAMO, PURE, LA SALUTE
Tra le vocazioni delle crucifere rientra, poi – va detto – anche la medicina. Uno studio pubblicato su Nature mette in rilievo un’attrazione virtuosa fra l’Ahr, recettore per gli idrocarburi arilici (una proteina che si trova in siti di barriera come l’intestino e il polmone) e le molecole naturali, presenti nelle crucifere. Una volta mangiate le suddette verdure, le molecole attivano l’Ahr, per indirizzarlo verso un numero di geni. Alcuni di questi, presi di mira, disattivano il sistema, consentendogli di autoregolarsi.
Effetto enormemente positivo, in sintesi, sulla barriera dei polmoni. Come dire: “È comunque sempre una buona idea mangiare molte verdure crocifere, ma questo dimostra che è ancora più importante continuare a mangiarle, quando si è malati“.
Insomma, c’è un’asse intestino-polmone che vale la pena di sfruttare. “Abbiamo esaminato l’influenza in questo studio, ma altre ricerche hanno dimostrato che anche il Covid può ridurre l’attività dell’Ahr nei polmoni. Sarà interessante studiare l’impatto di altri virus respiratori sull’Ahr e anche se diverse molecole nella nostra dieta utilizzano percorsi diversi per influenzare la funzione polmonare, attraverso le cellule endoteliali“.
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