Ortigia e quel suo buon mangiare, che misura di conoscenze antiche e novità
Immaginatevi, per qualche secondo, in quel di Siracusa. Siete circondati dal bello, eccellenza di un Barocco che ha fatto e fa tuttora storia. Ma la Sicilia è anche e soprattutto cibo. Piaceri, per il palato, indiscutibili, riconoscibili, patrimonio di questi luoghi.
Ebbene, oggi l’idea di cucina si evolve, anche da queste parti, per svilupparsi, pur facendo leva sulle radici, sotto forma di nuove idee culinarie.
Così è, ad esempio, presso il Don Camillo, sito ad Ortigia, dove lo chef Giovanni Guarneri ridefinisce una personale “evoluzione della cucina del territorio“. Eredità di famiglia, il posto, datato 1985; location d’eccezione, per trasferire antiche narrazioni in racconti che parlano, attraverso una sinfonia di alimenti. Retaggio insulare – in fondo – che caratterizza la Trinacria e si codifica proprio attraverso l’apertura all’esterno.
Dunque, se da una parte c’è la salvaguardia delle materie prime autoctone, frutto del lavoro di produttori appassionati; dall’altra, l’abbinamento con le novità conduce alla scoperta di sapori inediti, diversi, divertenti, inaspettati.
A fare da filo conduttore, la conoscenza profonda della materia prima, delle stagionalità, delle biodiversità, dei tempi di produzione. Si crea, così, un perfetto equilibrio tra profumi e sapori che si rispecchia nei piatti, ultimo atto di un sapere che parte dalla più antica tradizione. Scelta coraggiosa e lungimirante, che si traduce nelle numerose proposte à la carte.
Si fanno notare, tra i tanti piatti, i Gamberi Rossi Marinati al Gin e Sale di Mothia su Maionese di Ostriche e Alga Croccante, affumicati al Ginepro; le Mezze Maniche ‘Mancini’ con Gamberi affumicati, con le Scaglie di Botti di Jack Daniels e crema di Tuorlo d’uovo. Ancora: i Tuffoli Mancini con la ‘Mollica’ farciti, pesci di scoglio, patate di Siracusa, salsa Matalotta e crema di Canestrato e via dicendo.
Dei dessert evitiamo di parlare, aperto smacco a chi, di dolci, si occupa giornalmente.
Piatto forte: Spaghetti delle Sirene con gamberi e ricci, ma è di una pietanza, in particolare, che intendiamo raccontarvi, vale a dire l’Arancino/a liquido, promessa di una nuova consistenza (citiamo dal menù), per un classico da mangiare al cucchiaio.
Approfondiamo, allora, la questione: burro, cipolla e infuso di zafferano, tanto per cominciare, per la preparazione di un risotto, che potremmo definire classico. Quantità di acqua utilizzata, giusto il doppio del riso.
Una volta raggiunta la cottura, il tutto viene frullato (ed ecco la novità). E’ tempo, quindi del ragù. Sedano, carota, cipolla e olio Evo (DOP Monti Iblei) accompagnano la carne tritata. Al posto del concentrato di pomodoro viene adoperata una salsa, lasciata andare per circa due ore e “corretta” – sottolinea lo chef – “il meno possibile“. Una volta aggiustata di sale e pepe va, pertanto, ‘dimenticata’ sul fuoco.
Manca, tuttavia, a questo punto, la nota di riconoscibilità. Ecco allora che, appositamente, viene creato un crumble di pane casareccio, fritto a duopo.
E’ ora di assemblare gli ingredienti: la base è costituita dalla crema di riso, sulla quale di appoggia il ragù. Dadini di provola dolce a coprire e poi di nuovo crema di riso. Il tutto, andrà posizionato in forno, a 150 gradi, per 10 minuti, giusto il tempo di friggere il pane, che andrà messo a coprire.
La sensazione gustativa, alla fine, sarà identica a quella dell’Arancino o Arancina, a seconda che sposiate la scuola di Palermo o Catania. Il gusto, rimane quello inconfondibile di sempre…
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