Merope’s Tales (capitolo 11)
Ve lo avevo detto che questa storia è affascinante e spero la pensiate come me, perché, in fondo, sono – spesso – proprio le persone che ci viaggiano accanto, a stretto braccio, le più straordinarie.
Intendo, nell’accezione più intima del termine, fuori dall’ordinario. Viaggiano su schemi e parametri tutti personali e l’atteggiamento, alfine, è premiante, per loro stessi e anche per chi gli è accanto. Emanano, persino attraverso le proprie fragilità, energia buona e hanno da insegnare. Oh no, non attraverso tante chiacchiere. Si fanno, piuttosto, esempio vivente del loro procedere. Sono messaggio essi stessi, come un dipinto che si fa sulla pelle.
Più che un tatuaggio, con modalità permanenti, mi viene in mente la tecnica del body painting. Avete presenti le immagini di Veruschka? Una maestra, nel genere e un po’, attraverso la sua figura iconica, mi sovviene alla mente il concetto di metamorfosi, propostomi proprio da Kaoru Bloom.
La secondogenita del conte Heinrich von Lehndorff-Steinort, esponente, insieme alla sua legittima consorte, della nobiltà prussiana e uomo chiave della resistenza tedesca antinazista, ha saputo fare di sé l’irripetibile antesignana di performance, dal gusto camaleontico. Se, poi, mi chiedete cosa c’entra, adesso, beh, potrei sorprendervi, perché – sapete? – fu interprete, la fotomodella forse più ‘psichedelica’ di fine anni ’60, della Salomè, firmata da Carmelo Bene. Interpretazione di un genio che ripercorre le vie di un altro genio…
Quel che più mi sorprende, in questo percorso fatto assieme, sono le congiunture, sovente inaspettate, inimmaginabili, eppure… esiste un unico filo che lega un discorso ad un altro, un personaggio al suo predecessore o a quello che lo seguirà e appoggiarsi a questo tessuto, in parte già scritto, è confortevole… e bellissimo.
Ma torniamo a Lei, la protagonista della vivace favola di cui intendo ancora raccontarvi. Carola è talmente generosa nel manifestarsi, che non riesco ad esimermi dal presentarvela tutta, servita a più riprese: in versione aperitivo; nelle vesti di gustoso primo; saporito secondo e poi deliziosa frutta… prelibato dessert.
Nel suo continuo mutare pelle, la potreste assaporare sotto forma di bevanda: liscia, effervescente… salutare o altamente alcoolica, talmente potente da farvi girare la testa. Preferisco, quindi, servirvela centellinata, a poco a poco, affinché scegliate da soli come assaggiarla… briciole di valore, fate bene attenzione, da non perdere. Da non trascurare…
Dunque, risaliamo, mano nella mano, sul palco. Palco, come amico non scelto. Un alleato? Per certi versi sì ma, poi, ancora in questa occasione, mi stupisce. “In realtà, nel caso specifico del Burlesque, prima delle performance vivo in un perenne stato di agitazione. Temo di non ricordare niente“. Vittima di un vuoto totalizzante. L’escamotage per non finire nell’abisso? Il pre.
Pre, nel senso di preambolo, di preparazione… “truccarmi, infilarmi i vestiti di scena… assomiglia tanto ad un rituale Zen“. Anzi, mi riparla del rituale del Tè e mi riconduce, inconsapevole, in contemporanea, nell’universo intriso di calma e gesti ripetitivi che misura di Oriente e alla cerimonia, altrettanto indimenticabile ma meravigliosamente folle, che è nella fiaba di Carroll.
Buffo no? Ci muoviamo, eppure siamo ferme o, forse, stiamo, semplicemente, senza rendercene conto, girando attorno ad un nucleo che ci tiene vincolate. Ci sorregge e ci guida, in questa ricerca sottile, fatta di sfumature. Costellata, come sta nelle sue stesse corde, dal respiro.
“Nell’indossare i costumi“, del resto, “c’è una logica“. Come a dire che non ci si infila solo un vestito. E’ la materia stessa con cui si lavora a richiedere concentrazione. Stare hic et nunc, come consigliavano i Latini. Qui ed ora, tesi a vivere il presente.
Testa e corpo si sentono “obbligati“, questa è la parola che mi suggerisce, ad entrare in connessione. Poi, straordinariamente – la scelta del termine stavolta è a mio carico e non è casuale – avviene, mi racconta, lo switch. “Nella dimensione della danza“, mi fa notare “si mantiene una distanza con lo spettatore. Nell’esibizione Burlesque il contatto è talmente diretto che si può divenire soggetto di intemperie“.
Mi piace come seleziona i vocaboli. Io, regina indiscussa di loquacità, mi inchino a costei e calo il cilindro che il ruolo mi contempla sul capo.
Il pubblico rappresenta un’incognita. Dunque, l’abilità è anche nel saper destreggiarsi. “E’ differente esibirsi in teatro, nel salotto di una casa, in un locale… varia tantissimo“. Meglio, variano le probabilità. Al Teatro dell’Opera tutto era studiato. Diverso è avere a che fare con situazioni impossibili da calcolare in precedenza. L’occasione “ti offre” in sintesi, “di essere atto vivo in quel preciso momento” e di architettare escamotage di sopravvivenza.
“Mi è capitato, ad esempio, di esibirmi davanti ad un pubblico composto anche da bambini. In tal caso, è necessario mostrarsi ricettivi alla variazione“. Cesellare l’atto performativo, nel mentre.
Potendo dar retta alla mia indole, “seguire una coreografia con una sua struttura mi dà maggior sicurezza, però mi rendo conto che in questo mondo vige, invece, la legge dell’improvvisazione“. “Devi mantenerti aperta a chi hai di fronte“, riassunto.
Ed è proprio in relazione all’argomento che mi parla di un sogno, che l’ha ossessionata per lungo tempo…
“Ero in procinto di esibirmi, al Teatro dell’Opera e, posizionata dietro le quinte, venivo catturata da un’ansia, in verità, realissima, vissuta milioni e milioni di volte“. In realtà, specifica, “ci sono mesi e mesi di prove, a precedere, tanto che la mente, nel ricordo, è preceduta dal corpo“, che sa come e cosa deve fare. Poi, una notte, il sogno si è magicamente trasformato. Il coreografo ci ha lasciate libere di fare ciascuna ciò che desiderava. “L’importante è che rimaniate connesse ad un’energia“, che a me personalmente sembrava tanto simile al mare. “Era talmente bello, è stato talmente liberatorio che, effettivamente, non mi è più ricapitato di cadere nella paura…”. Poi ritorna in sé, ride e ribadisce, prendendosi in giro da sola: “Tranne che nella realtà!”
Quando, poi, le domando se ci sia un’esibizione che, più di ogni altra, l’abbia soddisfatta o abbia ‘agganciato’ il suo pubblico, ancora in questo caso rispolvera la Salomè. “E’ quella che, di certo, ha creato più impatto, anche perché il Burlesque viene spesso vissuto o immaginato secondo una certa ottica; mentre questa è la rappresentazione di un dramma. Collocarla in questo ambito è già di per sé complicato. Eppure, la sento affine… La donna, stando ad Oscar Wilde, che parlava con la testa di Giovanni Battista, colma di un amore infinito e poi, nello stesso tempo, armata di un sadismo tale… Ecco, questa scissione a me piace!“.
Kaoru Bloom, lascio viaggiare l’immaginazione, novella Alla Nazimova… intenta a portare in scena l’opera del geniale autore irlandese, allora era il 1923. La cura di scenografia e costumi, al tempo, fu affidata a Natacha Rambova, eccellenza nel campo e moglie – pensate – niente meno che di Rodolfo Valentino. Ebbene, si ispirò, quest’ultima, nella realizzazione, alle illustrazioni ideate da Aubrey Beardsley, per la première della tragedia di Wilde. Illustratore, scrittore e pittore inglese, quest’ultimo – per chi non ne fosse al corrente – assai influente negli ambienti teatrali, all’epoca e – udite! Udite! – profondamente influenzato dallo stile giapponese, evidentemente di moda in quegli anni.
“C’è una novità“, mi svela, quindi, entusiasta. “Sto modificando il costume“. Lo afferma perentoria, fiera, come chi ti comunica che sta per cambiare casa. “Un po’ la performance cambierà e vorrei entrare più in relazione con la testa di Giovanni Battista…“. Prefazione, che sa, a mio avviso, di gatto, in procinto di agguantare un bel topino. “Dovrò revisionare totalmente il personaggio e, oggi come oggi, mi interessa ancora di più sviscerare la parte che riguarda questo Amore malato…“.
Le chiedo, allora, se ci sia, di contraltare, un Amore ‘sano’ e mi tira fuori… il gatto dei vicini. “Mi sono resa conto del livello di comunicazione che si possa avere con un animale. Non solo, ho scoperto i tanti punti di similitudine. La necessità, ad esempio, di seguire i miei tempi e il desiderio che l’altro lo capisca. Parimenti al bisogno di contatto, quello di rimanere indipendente…“. Di che cosa faresti a meno? La provoco ma mi spiazza, ancora una volta: “Se ci rifletto… probabilmente, già ne faccio a meno“. “Quando sono andata via di casa“, si estende poi nel racconto, “ero ragazza, avevo 20 anni e pensavo che, principalmente, avrei dovuto pagare l’affitto. Automaticamente, tante esigenze, dalla mia testa, si sono escluse…. Di alcune cose mi viene automatico fare ameno”, conclude.
Quando guardi avanti vedi…? “Amy Whinehouse“. Ecco, se finora vi eravate ‘fatti persuasi’ ‘- per adoperare le parole che il buon Camilleri poggia sulle labbra del commissario Montalbano – che il Burlesque fosse only divertissement, accantonate l’idea.
Qui si viaggia su di una linea buia, vagamente oscura… “La scelta è stata casuale“, si abbandona agli aneddoti, “però poi mi hanno colpito una serie di somiglianze: il fatto, ad esempio che, se fosse viva, avremmo la stessa età e, ancor di più, l’esponenziale inquietudine che l’ha, poi, condotta alla fine“. Mi piacerebbe omaggiarla, magari in giro, tra le strade della Capitale.
D’altronde, proprio vicino casa, in zona Certosa, sulla Casilina, c’è un Murales che la rappresenta. Buffo, perché basta girare l’angolo per dimenticare il traffico e trovarsi, di punto in bianco, raccolti di una dimensione di paese. “C’è la pescheria, il bar che cucina il pesce della pescheria appena portato. Una realtà miniaturizzata, a misura d’uomo, dove spicca il ritratto di Lei, Amy“. Cittadina a sua volta, tra i tanti abitanti di Roma. Si rende conto del grado di responsabilità di cui si investe, Carola, ma intende entrare leggera, in punta di piedi, nell’esistenza di un’artista dal carattere e dalla storia potenti.
Un viaggio di scoperta, costellato da tante e tante anime: Carola ballerina, Carola circense, Carola Burlesque… Ride, leitmotiv di un’anima, per sua natura, positiva. “In realtà, la cosa bella è che continuo ad aprire porte, per scoprirmi io stessa. Sicuramente mi piace indagare in più campi e, a seconda di dove mi poggio, emergono sfaccettature differenti“.
Carola, in una dimensione che è soprattutto corpo. “Per me, ha sempre rappresentato la salvezza. Con la capoccia, capita di non sapermi mettere limiti. Invece, il corpo ha memoria e ti dà modo di assorbire, nel trascorrere del tempo, le sensazioni“.
Carola nuda, Carola libera… “Se non vivessimo in una Società quale è la nostra, spontaneamente, tendenzialmente, starei nuda. Scevra da malizia, al di là del pudore o delle convenzioni“. La stessa libertà che vorrebbe, ad oggi, regalare all’interpretazione di Dafne. Una Ninfa in funga – ed è proprio su questo aspetto che intende rimettersi a lavorare – non più carica di rabbia ma intrisa nel personale desiderio di libertà.
“Che, in fin dei conti, la trasformazione in albero, tutto sommato, non è poi così male! Sei ben piantata a terra, ti esponi verso il Cielo e, intanto, sei… ramificata!“ Ed eccoci sempre al dunque, in un processo di ripetizione, dove tutto torna.
Peccato Capitale? “La lussuria. Tuttavia“, chiarisce, “non la vivrei come peccato. Piuttosto, come forma di comunicazione“. Non lesina, nell’ampliare la spiegazione: “Se fossi nata nell’antica Grecia e il viversi la sessualità fosse stata in una maniera diversa, forse mi sarei trovata in una dimensione più mia“.
Senza neppure necessità di chiudere gli occhi la vedo, introdotta nei ginnasi del periodo Ellenistico, educata, per poi fornire partecipazione attiva alle vicende della Polis. Spartana, magari, assorbita dall’apprendimento di musica e danza, con lo scopo di valorizzare la manovrabilità, come soldato in battaglia. Oppure no, forse meglio in qualità di Ateniese, all’inseguimento dell’ideale di paideia, secondo cui enfatizzare le virtù del singolo cittadino, per approdare alla realizzazione e al perfezionamento di sé, noti, allora, come kalokagathia (bellezza e bontà), coacervo di qualità esteriori e interiori.
Pregi e difetti? “Ascolto molto“, risponde di getto; mentre i difetti emergono nella fase inquieta. “Mi irrigidisco“. Ah, ah, Bianconiglio, stai messo lì, quatto quatto dietro l’angolo. Invece, un aspetto piacevole che ho riscontrato, soprattutto insegnando Pilates, è la capacità aggregante. “Lo sport, il muoversi, comunque instaura un comun denominatore di umanità, tra le persone“.
E’ forse questa la sua cifra, giacché, mi conferma, “lo faccio in maniera non consapevole“. Ti innamori? “Di un tramonto, dei dialoghi, di un perfetto sconosciuto o sconosciuta. Anzi, nella latitanza di relazione riesco meglio a vivermi in profondità. Superando schemi e categorie sento di più“.
Piangi? “Ogni tanto, anche se, per tanti anni, mi sono sentita bloccata“. Perdoni? “Sì!“, dichiara di getto. Poi, più timida: “Sì, mi sembra di sì“, aggiunge. Non amo le categorie, mi ribadisce. Allora le chiedo: Carola arrabbiata si riconosce da… “…dalle vibrazioni. Vibro!” E, nella politica dell’assurdo, ragiona cavalcando la via delle connessioni mentali.
Siamo in procinto di concludere, ma non posso non mettere sul piatto un ultimo gioco.
Se fossi… un cibo? “Gli spaghetti alla piastra Thailandesi o Cinesi… con i gamberetti!”
Se fossi… un giocattolo? “Un frisby“. Dire che a me riporta subito alla mente il cubo di Rubik e, giunti al punto in cui siamo, non sto qui a motivarvi il perché.
Se fossi… una destinazione? “Ovvio, il Giappone!“
Se fossi… lo stile di arredamento di un’abitazione? “Immagino lanterne e un letto a baldacchino, in legno… e poi, una specie di giardino Zen. Vetrate e tante piante. In ogni caso, andrei a togliere e punterei, invece, sui materiali. In generale, tanta luce!“
Se fossi… un mezzo di trasporto? “Io… l’autobus“. Ci guardiamo, complici e divertite.
Se fossi… un libro? “Il vecchio e il mare, di Haminguay“
Se fossi… un disco? “Pink Floid: Dark side of the moon“
Sei un fiore… “Un Tulipano!“
Sei un complimento… “Profonda. Questo me lo concederei “
Fatti un applauso. Per… “L’umanità?” E ci mette in coda un punto di domanda
Dici grazie, perché? “Perché la realtà ti permette sempre di apprendere“
Un sogno? Riuscire ad esprimermi nella mia totalità
Dentro di te vive lo spirito di… Azzardo: un gatto? “Un uccellino“, mi risponde. E già, avrei dovuto prevederlo, Io che, a mia volta, ve l’avevo rappresentata con le sembianze di canarino.
Cosa diresti alla Carola di ieri e a quella di domani? “Di esternare. Tirarsi fuori di più! Trovare il coraggio per essere me stessa“.
Lezione, che deve bene avere imparato Mistinguett. Non sapete chi sia Jeanne Florentine Bourgeois? Meglio, perché sto per raccontarvela, la sua storia e sono certa che vi affascinerà. Per l’ennesima occasione ci apprestiamo a compiere un salto nel tempo; quindi, Signori e Signore più o meno compiacenti, più o meno attenti, allacciate le cinture, ve ne prego, poiché il viaggio sta per riprendere…
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