Scrivi, scrivi… cara Mary
Chi di voi non ha mai tenuto un diario? Uno di quegli oggetti feticcio… che sanno rendersi, ad un certo punto, irrinunciabili. Un compagno di viaggio, un confidente, un riparo, un amico o, se preferite, tutto questo assemblato assieme. Ebbene, il mio era di color azzurro, rilegato in pelle, fratello d’avventure, sin da ragazza. C’era annotato di tutto, davvero, con una calligrafia che, stando agli esperti, denoterebbe una esplicita ‘apertura di idee’… ve lo traduco in maniera elegante. C’è chi, quel contorcimento di vocali e consonanti – esageratamente slanciato – lo interpretava, addirittura, come ‘mancanza di inibizioni’.

Tant’è. Amavo scrivere. Adoravo appuntare quel che mi accadeva, nel momento in cui accadeva o, perlomeno, mentre i fatti erano ‘ancora caldi’. Volontà di sublimare un presente che, vuoi o non vuoi, comunque, mi apparteneva ed Io, così facendo, ne rivendicavo la proprietà.
Lo feci, persino in quel lontano 1936, con la medesima disinvoltura di sempre. Dicevano tanto di Mae West… poi, a ben guardare, ce l’avevano su con tutti… In fin dei conti, non era altro che una scappatella, la mia. Qualcosa di realmente banale. Direi… comune. L’esperienza ‘quasi’ scontata di chi è sposato. Non ne convenite anche voi? Solo che il mio tradire era lì, disinvoltamente lasciato in bella mostra dentro al cassetto di un comodino, in mezzo alla biancheria sparsa. Gesto noncurante di chi ama le sfide o, più semplicemente, probabilmente incosciente, desidera essere scoperto.

Oh, insomma! In fondo, dove avreste voluto che riponessi il mio alleato, più sincero e autentico? Lo pretendevo, come è giusto che fosse, a portata di mano ed era fondamentale che mi rispecchiasse, discinto a sua volta. Sconcio quanto bastava per risultare sexy… per poter raccontare di piccole e ingenue indecenze, senza che troppo, rileggendolo, ne potessi arrossire.
Eh sì, perché era composto a mio totale beneficio e non di altri…
Perciò si disponeva accattivante, fin tanto da nutrire la maliziosa proposizione di sbirciarne, a più riprese, il contenuto… ancora e ancora un pochino… “A letto, ha una resistenza formidabile… non capisco come faccia!“. Notazioni, null’altro ma quegli appunti finirono… nelle mani sbagliate. Magari no! Magari erano proprio quelle giuste. Magari me l’ero cercata… Non so. Ve lo giuro, non so!

Che sbadata, in questo mio dissertare, ho persino dimenticato di dirvi il mio nome. Mi chiamo Mary Astor, lavoro ad Hollywood, mettiamola così e il legittimo proprietario di cotanta aggettivazione era… è… George S. Kauffman. Un commediografo. Simpatico… ci sa fare… non so se capite…
Beh, comunque il punto è un altro. Il fatto è che continuano a confondere il pubblico con il privato. Sovrappongono le identità e poi, oramai, mi hanno connotata come una sorta di femme fatale, per via dei personaggi che interpreto. Don Giovanni, Lucrezia Borgia…. Lì, ricordo, c’era anche John Berrymore. Il marchio di femmina ‘torbida e sensuale’, tuttavia, me lo sono aggiudicato interpretando, al fianco di Humphrey Bogart, il personaggio di Brigid O’Shaugnessy. Giravamo Il mistero del falco. Era il 1941 ma forse voi lo conoscete come Il falco Maltese.

Oh, ma non è questo che conta. Perdonate, sto divagando. Vi dicevo, avevo intrapreso una piacevolissima relazione con questo regista, nonché produttore teatrale, librettista, umorista e critico letterario. Scrittore… una mente brillante, per farvela breve. Perché no, quindi? Senza, poi, tener conto… del resto. Altrettanto valido, ve lo assicuro, quel che ne esprimeva la superficie, rispetto ai suoi innumerevoli talenti intellettuali.

Ecco, quel giorno, quel fatidico giorno, mio marito… – il secondo, marito. Prima, c’era stato Ken Hawks, 26enne assistente di produzione della Fox, fratello minore dell’assai più rinomato regista, Howard – … mio marito – vi dicevo – si era avventurato, chissà poi perché, alla ricerca del paio di gemelli che non vedeva più in giro da tempo… Franklin – riassunto – si trovò tra le mani il volume e… incuriosito, lo aprì. Iniziò a sfogliarlo e venne a sapere, via via, delle mie rappresaglie di letto con l’allegro membro della Tavola rotonda dell’Algonquin.
Oh, non fraintendete, non è che amassi Lui. Adoravo, piuttosto, il modo in cui mi faceva sentire: leggera, spensierata, disinibita. Mio marito, Frankiln… era di un’altra stoffa. Ci eravamo sposati il 29 giugno del ’31.
Fatto sta, scorrendo tra le righe, il Signor Thorpe, mio legittimo sposo, venne a sapere che avevo conosciuto Kauffman all’Algonquin, durante un giro di compere che avevo organizzato, in quel di New York, nell’estate del ’33. 16 mesi prima, per esser precisi. Me lo aveva presentato, il mio presto amante, Miriam Hopkins; lo rammento, come fosse ora.

“L’iniziale del suo nome è G. ed Io ci son cascata, come una pera cotta. L’ho conosciuto venerdì… Sabato, mi ha telefonato all’Ambassador e siamo andati a colazione al Casino e quanto ci siamo divertiti!“
Ero dettagliata – per abitudine – nei miei resoconti. Dunque, annotato c’era… proprio tutto. “Lunedì… siamo sgattaiolati via da quella festa noiosa. Faceva un gran caldo, così abbiamo preso una carrozza e abbiamo fatto il giro del parco e il parco era… beh, era il parco e Lui mi teneva per mano e ha detto che gli sarebbe piaciuto baciarmi. Ma non l’ha fatto“. Me lo immagino là, Franklin, con gli occhi strabuzzati…

“Martedì sera abbiamo cenato al Ventuno e, mentre stavamo andando a vedere Run, Little Chillun mi ha finalmente baciata… e… credo che nessuno dei due ricordi granché, dello spettacolo. Durante i primi due atti, abbiamo fatto ‘piedino’ e, durante il terzo, la mia mano non era nel mio grembo… Erano anni che non toccavo un uomo in pubblico, ma ho perso un po’ la testa…“
Proseguivo, minuziosa. “Dopo lo spettacolo, abbiamo bevuto qualcosa; poi, siamo andati in un appartamento della Settantatreesima strada, dove siamo potuti star soli ed è stato tutto eccitante e bellissimo. Quando George si leva gli occhiali, è un uomo completamente diverso. La sua capacità di ripresa è sbalorditiva e abbiamo fatto l’amore tutta la notte e, all’alba, abbiamo avuto assieme il nostro quarto orgasmo“.

“Non ho visto quasi nessuno, per tutto il resto della mia permanenza… siamo andati spesso nell’appartamento sulla Settantatreesima strada, dove Lui mi ha scopata ‘a morte’… Una mattina, verso le quattro, abbiamo mangiato un sandwich da Ruben e stava cominciando a far chiaro. Così, abbiamo attraversato il parco in carrozza e gli uccellini cantavano ed era una mattina fresca e piena di rugiada ed era divino baciarci… e toccarci, giù… così, all’aperto…“.
Che volete? In fondo, sono una romantica… una passionale…”C’è mai stata una donna più felice di me? Pare che George sia sempre duro… Non capisco come faccia. E’ perfetto“. Beh, diciamo… non troppo, romantica!

Ebbe modo di scoprire, poi, Franklin, che la faccenda era proseguita… fin sotto casa. Avevo detto che mi sarei recata alla Warner, per una prova costumi. Invece, mi recai immediatamente nell’albergo in cui Lui mi aspettava: “Lunedì sono andata a Beverly Hills e sono riuscita a trovarmi sola con George, per la prima volta. Mi ha aperto in pigiama e ci siamo precipitati nelle braccia l’uno dell’altra. In un attimo, Lui l’aveva ‘rampante’ ed è stato subito come ai vecchi tempi… si è strappato il pigiama di dosso e Io non sono mai stata svestita così in fretta da nessuno, in tutta la mia vita… Più tardi, siamo andati a pranzo da Vendome, poi da un cartolaio… poi, di nuovo in albergo. Pioveva e tutto era bellissimo. E’ stato meraviglioso passare tutto il pomeriggio scopando dolcemente. Me ne sono andata verso le sei…“
Lasciavo scritto, a soli sette giorni di distanza: “Tutto il giorno seduta al Sole; pranzo in piscina con George, Moss e i Rogers. Cena a The Dune e una bibita al chiaro di luna, senza Moss e i Rogers. Ah – notte nel deserto – con il corpo di George che si tuffava nel mio, nudo, sotto le stelle…“

Potrei proseguire ma tanto bastò, per far esplodere il mio povero consorte, totalmente ignaro di quel che gli era accaduto sotto il naso. “E’ stato molto depresso per parecchi giorni e ha usato la sua arma suprema: “Ho bisogno di te!”, con lacrime. Per amor di pace e per avere un po’ di tregua da tutti questi scompigli passionali, gli ho promesso di non far nulla, per il momento. Ma, se devo essere onesta, l’ho detto, perché voglio trovarmi con George per il resto del suo soggiorno, senza avere i nervi scossi e una faccia da far paura. Voglio potermelo godere completamente, in questi ultimi incontri…“.
Pensate davvero che non mi rendessi conto che, presto, sarebbe finita? Tanto valeva spingere sull’acceleratore e andare fino in fondo. Preferisco i rimorsi ai rimpianti, di gran lunga.

Non ve lo sto qui a raccontare, La mia ‘dolce metà’ non la prese niente affatto bene e intraprese, in risposta, una serie di assidue frequentazioni con tutta una sequela di Starlet che lo resero, a lungo andare, la favola della città. Chiacchieravano… di Lui.. di me… fin quando non si giunse in Tribunale.
Non era tanto l’idea di divorziare ad irritarmi, quanto il fatto che pretendesse la custodia di nostra figlia. A quello sì, mi opposi, eccome! Intentai, addirittura, una contro causa. Non me la sentivo proprio di cedere, in tal senso. Che poi, oramai, si era reso, agli occhi della gente, talmente ridicolo, che quando impugnò i miei scritti per versarmeli addosso, in molti inarcarono comunque il sopracciglio.
‘Chi è senza peccato…’ – come dire… e, se il giudice, venuto in possesso del carteggio, lo respinse, in termini di prova, i legali del mio ex non si arresero e ne fecero arrivare diversi brani alla Stampa, che non lasciavano dubbi al tenore delle cronache. In particolare, il passaggio. “Ah, notte del deserto…” divenne folkloristico, spalancando le porte delle testate scandalistiche, che pubblicarono gran parte delle mie memorie, costellandole di asterischi. I lettori si divertivano un mondo a completare le frasi ‘censurate’.

Qualche giornalista – o giornalaio – più in là con l’età, addirittura, pensò bene di rispolverare i tempi della mia liaison con John Berrymore. Oh, era successo parecchio tempo addietro e, allora, non ero neppure sposata (Lui, all’epoca, aveva 41 anni. Io, 17). Ma ingolosiva, probabilmente, l’idea di considerarmi una Mangiauomini. Mieteva soldi e tanto bastava. Che importava andare a spulciare tra vecchie storie che, al momento, poco attenevano alla faccenda in corso e che poco erano rilevanti, in linea generale. Fatti privati di ordinaria esistenza, in cui, malauguratamente o per fortuna, i diretti interessati erano due attori del Cinema.

Oh, ma la legge era ‘uguale per tutti’. Anche i ‘dietro le quinte’ che riguardavano Flankiln vennero messi alla mercé del pubblico. Sbandierati, sotto gli occhi di chiunque. La bambinaia descrisse, faccia a faccia con i Giudici, della volta, ad esempio, in cui tale Norma Taylor – ne avrete sentito parlare… – inveiva contro il padre di mia figlia, davanti a mia figlia, pregna di gelosia e con indosso… lo smalto rosso per le unghie. Solo, lo smalto rosso per le unghie.

Non solo. Raccontava, sempre la bambinaia, del succedersi di ‘dame’ tra le lenzuola di quella che Io chiamavo ‘casa’. Ben tre swogirl, in tre notti successive, “avevano dormito nel letto del dottore” e, quando le fu chiesto dove si trovasse il Signor Thorpe, giusto per mettere i puntini sulle i, la Signorina, candidamente ma ben attenta a resocontare la verità, aveva ribattuto che “era nel letto anche Lui!“.
Un po’ di ‘bufera, a rifletterci, valse la pena. Ri-ottenni indietro casa e bambina. Diversamente andò… per il mio prezioso tesoro, che mi venne, al contrario, definitivamente sequestrato, patrimonio, a quel punto, del palazzo di Giustizia. Spazzatura, in verità. Immondizia, ‘pornografia’, così come lo definirono, nell’esattezza e, pertanto, destinato alla stufa.

A pensarci ora, a mente fredda, quella faccenda avrebbe potuto distruggermi. Affossare definitivamente la mia carriera. Appena qualche anno prima il mio nome avrebbe fatto bella mostra di sé in un altro libro, assai più inquietante, per noi attori. Hays mi avrebbe fagocitata nella sua spirale di perbenismo e addio futuro. Per fortuna, i tempi erano cambiati. La crisi economica, poi, aveva fatto il resto. Aveva operato in maniera tale che gli spettatori crescessero. Erano persone decisamente più mature – e provate – quelle che mi trovavo, adesso, di fronte. Platea, in vena di contenuti pruriginosi ma, in vero, meno giudicante; forse più schiacciati dalle vicissitudini finanziarie e, perciò, meno incattiviti verso di noi che, nel frattempo, avevamo dovuto fare i conti con l’avvento del sonoro e con il crollo, inevitabile data la situazione, dei guadagni al botteghino. C’è chi, all’epoca, risolse la questione facendola finita. In molti si tolsero la vita e lo fecero nelle maniere più assurde e disparate. C’è chi, d’altro canto, al pari dei più avventati e temerari investitori, rilanciò. Joan Crawford, nel ’32, si sentì in dovere di rialzare il morale della Nazione, con un manifesto su Photopay, intitolato: “Spendi!“, spavalda utopia che serviva, però, a ripristinare uno stato di normalità.

Io, semplicemente, avevo vissuto e lo avrei fatto ancora, tanto da guadagnarmi, nel 1932, l’Oscar come migliore attrice non protagonista in La grande menzogna. Avrei lavorato al fianco di Bette Davis, che avrei ritrovato anche più in là, nel ’64, in Piano piano dolce Carlotta.

In quanto al mio legame extra-coniugale, fu intenso… ma, come potete immaginare, breve. George si guadò bene dal lasciare spazio a chicchessia. Evitò che gli si facessero domande, dandosi direttamente ‘alla macchia’ e una volta al riparo, presso La Grande Mela, seguì gli esiti del processo, da lì. Eludeva, se intervistato, tutte le domande in merito al caso. Eppure, un volta, inchiodato dai reporter all’uscita riservata agli artisti del Music Box, concesse. “Potete scrivere che Io non tengo un diario!“.

Poi, sempre nel ’42, ve lo anticipo, un’altra brutta storia vide coinvolto Errol Flynn. Due ragazze, due minorenni, accusarono il mio collega di violenza carnale. Il guascone più affascinante dello Schermo, benvoluto e ammirato fino ad allora, avrebbe dovuto fare i conti con la propria immagine, a sua volta e con il prezzo di un successo che indisponeva la malavita. Captain Blood – come tutti lo conoscevano – avrebbe dovuto spogliarsi della fama dartagnanesca e di pirata, per affrontare una battaglia legale, pronta ad incendiare le pagine di giornali e riviste; ennesimo capitolo dello scandalo che, inevitabilmente e per interessi diversi, finiva per riguardare tutti noi…
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