Gimlet: storia di un cocktail nato a largo dei mari britannici
Come nasce un cocktail? Talvolta, un po’ per caso e grazie all’impegno e alla faccia tosta di chi non ha tema di mettersi in gioco. “Perché tutto con il gin scende meglio“, pare abbia esclamato lo stesso inventore, Sir Thomas Gimelette (1857-1943).
L’allora medico di bordo era arci convinto che, aggiungendo un goccio di lime al gin, l’equipaggio della Royal Navy sarebbe stato messo nelle condizioni di assimilare le vitamine necessarie ad evitare il diffondersi, sulla nave, dello scorbuto.
Eccola, dunque, raccontata, la cronistoria del Gimlet – variante del Daiquiri che, invece, è a base di rum – e dall’identità decisamente più acida.
Una derivazione, il nome, dal medesimo del suo ideatore. Forse, secondo una seconda tesi, frutto dell’incisività nei confronti delle papille gustative, paragonabile alla capacità perforante del ‘succhiello‘, tipico strumento in uso presso i falegnami.
Una miscela nata a largo delle acque britanniche, partorita sulle baleniere – si fa per dire – raccontate da Herman Melville. E, di seguito, esportata tra le pagine di autori eminenti. Ne parla Raymond Chandler, nel suo Il lungo addio (1953): “un vero gimlet è per metà gin e per metà Rose’s Lime Juice, e nient’altro“. Se ne appropria – secondo una prospettiva più didascalica – The Savoy Cocktail Book (1930), per descriverne gusto e piacevolezza e suggerirne, peraltro, le proporzioni.
Cambiate, tuttavia, queste ultime, nel tempo: 2 parti di gin, 1 sola di lime, all’inseguimento di un retrogusto non eccessivamente dolce.
Del resto, come insegnava Marlowe, fedele protagonista di numerosi scritti dell’autore sopra citato: “non serve aggiungere dello zucchero al gimlet“. Quando si prepara un Rose’s Lime Juice, quest’ultimo, ovvero lo zucchero, “è già contenuto nel succo“.
Di qui, la bevanda proseguì la sua strada, espandendosi in tutto l’Impero Britannico, dai Caraibi all’Africa, fino alle Indie Orientali. Un drink che, stando all’illuminato Lauchlan Rose, che astutamente ne brevettò la ricetta, si presentava privo di alcool. Quello, poi, ce lo avrebbero aggiunto a largo, nel corso dei viaggi trans-oceanici.
E l’etichetta di cotanto prodotto va fatta risalire alla distilleria Black Friars, tosta almeno quanto la propria produzione. Plymouth Navy Stength, il gin a 57°, era perfetto ‘per quei burberi dei marinai inglesi‘.
E, va detto, è la stessa Plymouth a ricordare, fiera: “per quasi 200 anni non c’è stata una nave della Royal Navy che abbia lasciato il porto, senza avere a bordo un carico di Navy Strength“.
La ricetta
- 6 cl di gin
- 1,5 cl di succo di lime
- 1,5 cl di sciroppo di zucchero
Riempite una coppetta con un discreto quantitativo di ghiaccio. Nel frattempo, spremete un lime e filtratene il succo. A questo punto, in uno shaker inserite altro ghiaccio e versateci gli ingredienti: gin, succo di lime e sciroppo di zucchero. Agitate a lungo. Quindi, svuotate la coppetta e travasate al suo interno il contenuto dello shaker, filtrandolo con uno strainer ed un colino conico (il double strain). Guarnite con uno spicchio di lime, a preferenza, e servite.
N.B. Le riletture, neppure a dirlo, si accavallano. Quale barman non vorrebbe, d’altronde, metterci del suo? L’esecuzione, tuttavia, resta elementare. Alla portata anche dei principianti.
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