Tortellino: qui impera l’ombelico di Venere
7 dicembre 1974. Segnatevela questa data, perché è quella in cui, presso la Camera del Commercio di Bologna, venne depositata la ricetta del Tortellino. Un’esigenza, nata nel tentativo di salvaguardia della ricetta originale dalle varie riletture territoriali, in cui le tradizioni familiari prevedevano dosi e ingredienti talvolta diversi, per la preparazione del ripieno.
INTOCCABILE
Dunque, lombo di maiale, in pari quantità con prosciutto; altrettanta mortadella di Bologna, Parmigiano Reggiano – con una stagionatura di tre anni – uova di gallina e noce moscata. Così è.
Pensate, un’operazione simile è stata attuata anche dalla Camera di Commercio di Modena, presso la quale esistono, tuttavia, unicamente direttive generali per la preparazione del ripieno. Non c’è, quindi, una ricetta precisa, bensì un documento, che definisce cosa può e cosa non può essere utilizzato per la preparazione. Totalmente bandito l’uso del pangrattato, ad esempio. Mentre sussiste l’obbligo nell’utilizzo di Parmigiano Reggiano stagionato 18 mesi, prosciutto, mortadella IGP ed altre carni pregiate.
LE DUE CONTENDENTI
Insomma, la diatriba è ancora aperta: Modena o Bologna?
Nell’idea di capirci qualcosa, c’è da dire che le radici della primissima pasta ripiena non sono accertabili e, di certo, si ritengono assai lontane nel tempo. Si presume, addirittura che, anziché lessata in brodo, venisse cotta al forno, se non anche fritta.
Le testimonianze pioniere, invece, di ciò che oggi viene definito tortellino, risalgono alla metà del XV secolo, quando un famosissimo cuoco, tale Maestro Martino, nel suo principale scritto: De Arte Coquinaria, volle raccontare di un particolare raviolo, atto ad essere preparato in tempo di carne, ossia quel periodo dell’anno in cui era consentito che si assumesse carne, per via delle regole religiose.
In tal frangente, venivano menzionate carne di maiale – per l’appunto – di vitello, formaggio invecchiato, oltre che spezie di varia natura. Le più gettonate, all’epoca, erano pepe, chiodi di garofano e zenzero. Riguardo alle dimensioni, si specificava che l’impasto, lavorato, doveva essere non più grande di mezza castagna. In quanto alla cottura, poi, era necessario avvenisse in brodo di cappone o di carne… buona.
Una seconda testimonianza risale, d’altro canto, al XVI secolo, quando un altro illustrissimo chef, tale Bartolomeo Scappi, decise di inserire nella sua: Opera, la ricetta per preparare i tortelletti, chiamati – sosteneva egli stesso – dal vulgo, annolini.
TANTI GIOCHI… DI PASTA
C’era, pure, il cappelletto reggiano, composto da buon Parmigiano Reggiano, polpa di maiale, prosciutto crudo, petto di gallina, burro, uovo, sale, pepe e noce moscata, più piccolo nelle dimensioni, ripsetto al tipico prodotto Bolognese.
Gli anolini, specialità gastronomica Parmense e Piacentina, prevedevano e prevedono, nell’impasto, la presenza dello stracotto, vale a dire carne di manzo, vitello e maiale, bollita per qualche ora insieme a verdure, cipolle, carote, chiodi di garofano, acqua e sale e, successivamente, tritato insieme alle verdure con l’aggiunta di pangrattato, formaggio grana, uova e noce moscata.
Dal canto suo, il cappelletto romagnolo, si compone ancora oggi di ricotta, formaggio molle, detto ‘barzotto, Parmigiano Reggiano, uova, sale e noce moscata. Niente carne, insomma.
E, nel viaggio, le differenze si incontrano di quartiere in quartiere, di abitazione in abitazione, in un percorso che, tuttavia, è intercorso da un unico filo conduttore: la bontà. L’imperativo imprescindibile e cui tutti, massaie d’esperienza e principianti sono obbligati a sottostare. Perché a tavola si porta il bello e il buono, soprattutto, di abitudini ereditate tanto, tanto tempo fa…
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