Moriondo: quel gran genio del caffè
Quando si dice nero, bollente, ricco di aromi… istantaneo. Così, per merito delle papille gustative, la mente viaggia e si giunge, tornando a ritroso, fino a quel lontano – e neppure troppo – 1884.
Il 16 maggio di quell’anno venne brevettata e presentata, presso l’Expo di Torino, la prima macchina da caffè espresso moderna.
L’invenzione fu esposta in un chiosco, vicino all’entrata della Galleria dell’Elettricità. Considerando che, all’epoca, per avere una tazza di caffè occorreva attendere ben cinque minuti, è facile comprendere la curiosità e lo stupore destati dall’apparecchiatura, capace di produrre 300 tazze della deliziosa bevanda nera, nel giro di un’ora o anche 10, in una volta sola.
Geniale idea che, evidentemente, valse al suo inventore una medaglia di bronzo. Ottenne, altresì, il brevetto per una “Nuova macchina a vapore per la preparazione, economica e istantanea, di una bevanda a base di caffè, metodo A. Moriondo“.
Trovata, che permetteva al ‘nostro’ di servire più clienti alla volta all’interno degli alberghi che aveva in gestione e gli conferiva, pure, un vantaggio nei confronti della concorrenza. Eppure, non fu Moriondo ad avviarne la produzione industriale; merito che, invece, si deve al milanese Desiderio Pavoni, agli inizi del Novecento.
Ma torniamo a noi…
Angelo – questo il nome dell’illustre artefice – proveniva da una famiglia di imprenditori. Il nonno era proprietario di un’azienda di liquori. Il padre, a sua volta, insieme ad un fratello e al cugino, aveva fondato una fabbrica di cioccolato, la Moriondo & Gariglio.
Azienda, nata in una cantina del capoluogo piemontese, nel 1850. Ebbene, Angelo ampliò la sua sfera di attività acquistando, sempre a Torino, il Grand-Hotel Ligure, nella centralissima piazza Carlo Felice, e l’American Bar, nella Galleria Nazionale di via Roma.
E, a torto o a ragione, fu proprio l’attività alberghiera e di ristorazione a far sorgere l’esigenza di mettere a punto una macchina che confezionasse caffè istantaneo, al fine di soddisfare, in tempi rapidi, un tipo di utenti, ogni giorno più esigenti e frettolosi.
Dunque, pervaso dalla generale atmosfera di rinnovamento e animato da spirito imprenditoriale, Moriondo pensò di ammodernare i suoi esercizi. L’occasione, non di meno, per la città, attendendosi l’arrivo di centinaia di migliaia di visitatori, per riprendere le fila di un potere che, non essendo più politico (la Capitale era stata trasferita, nell’ordine, prima a Firenze e poi a Roma) si trasformava, visto l’alto tasso di industrializzazione, in economico. La valvola, insomma, per far risvegliare Torino dal torpore, in cui era recentemente caduta.
Il prototipo
Nel dettaglio, la macchina, in rame e bronzo, era alta circa un metro e aveva “la forma di campana“.
Secondo quanto venne riportato in un articolo della Gazzetta Piemontese del 24 luglio 1884: “È la caffettiera portata al suo massimo sviluppo, ridotta quasi ad essere pensante e se Redi che ce l’aveva contro “l’amaro e rio caffè” tornasse in vita, vedrebbe come il mondo si preoccupi più del caffè che della poesia, più delle caffettiere, che dei poeti“.
Effettivamente, il progetto costituiva, per il suo tempo, una vera rivoluzione. Un prodotto all’avanguardia e versatile. Tuttavia, quel che lo rendeva del tutto speciale era la maniglia porta-filtro, con attacco di fissaggio rapido.
Progetto, supportato da uno slogan, altrettanto efficace: “Venite al Ligure, vi daremo il caffè in un minuto” e a cui fece seguito, negli anni a venire, un ulteriore brevetto, riconosciuto, nel 1885, in Francia.
Successo che, però, il protagonista di questo racconto non volle o non seppe sfruttare. Non fecero seguito, all’intuizione, una produzione in serie, né una commercializzazione su vasta scala, come sarebbe stato logico attendersi. Ed è, forse, questo il motivo per cui il nome Moriondo è, tuttora, poco conosciuto…
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