Borse: tramonta il concetto di immacolato. Il termometro del lusso sta nel logorio
Graffi e macchie, da oggi, care voi, non sono più sinonimo di imperfezione, ma si traducono nel segno di un vissuto. Età, insomma, che si disegna esperienza. Usura, non più intesa come simbolo di trascuratezza ma, al contrario, di affezione, rispetto a quanto possediamo.
Tutto questo è nella più contemporanea politica delle borse. Dunque, una Louis Vuitton può prendere le sembianze di un accessorio d’altri tempi, non tanto per il design, quanto, invece, per il relativo stato di conversazione. Più o meno logorata dal tempo che passa. Il manico, magari, è scolorito; le guarnizioni sono rovinate; mentre i piedini, letteralmente attaccati a un filo.
Ebbene, “Una borsa a mano è ancora più bella, quando è malridotta e sporca“. Questa è la novità, a detta degli esperti di settore.
Che – può accadere – non si ha tempo, né – tanto meno – voglia di portarla a riparare e, anzi, se ne asseconda la natura. E, dato che le It-bags stanno vivendo un momento di revival, si è giunti alla considerazione che, tutto sommato, così, il preferito tra gli orpelli guadagna ulteriormente di valore.
Un atteggiamento, assai distante da quello in voga anni or sono. Allora, candidamente, pur di non rovinare un tale tesoro, lo si riempiva di carta velina, per evitare che si deformasse e, non appena si notava una macchiolina, ci si affrettava a pulirla, strofinandovi sopra il pollice inumidito di saliva, alla guisa della guancia di un bambino, sporca di cioccolato. Si presentava al mondo l’acquisto, fieri, sicuri, risoluti.
Tuttavia, con lo scorrere del tempo anche le consuetudini cambiano. Mutano abitudini, comportamenti… e ci si trova a non voler più trattare i beni personali come reliquie – fosse pure roba di un certo valore. Ripararli, alle volte, può risultare impossibile e, allora, cosa fare? Semplice: industriamoci, adoperiamo l’ingegno e sfruttiamo al meglio la situazione. Rigiriamola – come siamo spesso capaci – a nostro favore. Così, può succedere che una borsa “originariamente color verde menta… – sia – ormai così logora, coperta di macchie, segni di penna e persino di gomma da masticare, che sembra quasi grigia“.
Cose, costose, certo, ma cose. Del resto, “andarsene in giro con una borsa firmata in condizioni di fatiscenza conferisce al look un tocco di sereno, olimpico menefreghismo“.
Tutto chiaro? In un certo senso e a ben pensarci, la borsa usurata costituisce una dimostrazione di potere. Anche potendo permettersi altro ci si adagia – sorta di snoberie – su ciò che, oramai, rappresenta uno status symbol. Atteggiamento vagamente élitario che, chiaramente, indica quanto poco si necessiti di stare al passo con gli ultimi ritrovati tecnologici, preferendo, come misura del successo, puntare sulla semplicità.
Naturalmente, ci sono circostanze in cui rovinato non coincide con glamour, ma il punto è che un’imperfezione non rappresenta la fine del mondo.
Potremmo aggiungere, nel tentativo di dimostraci convincenti, che “lo scopo dei capi di abbigliamento e degli accessori è quello di narrare storie. E ogni segno, ogni macchia su una borsa ne racconta una“.
Un tocco – niente affatto sottinteso – di sano disinteresse, che dovrebbe, in realtà, accompagnarci in relazione, pure, a molto altro. Il senso, in sostanza, è: “ho una vita da vivere… e posti dove andare” e qui risiede il vero lusso. Nell’interpretare se stessi, cioè, a discapito di tutto il resto. Non fregandosene ma, anzi, valorizzando quel che c’è, esattamente per come è, adesso.
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