The Trail’s End: storia di due criminali romantici
Chi siamo noi? Siamo leggenda e siamo leggenda… proprio perché siamo noi. Rido, perché oramai rappresentiamo un classico. Eh già, nel ricordo della gente abbiamo persino fatto in tempo ad imborghesirci. Ma noi eravamo il brivido, l’eccitazione, l’inaspettato… Io e il mio Clyde eravamo l’esaltazione della libertà. Disposti a tutto. Uniti, sempre.
E tutto, in fin dei conti, ci hanno perdonato. O meglio, la potenza del nostro Amore ha, agli occhi di chi ci guardava, consentito di sorvolare sopra lo stuolo di furti, omicidi, rapimenti… efferatezze, che negli anni della Grande Depressione, dal canto nostro, erano inevitabili.
Giovani e folli, contro il mondo intero.
Ci hanno definiti criminali e certo è che, nel giro di soli tre anni, fra il 1931 e il ’34, abbiamo letteralmente devastato il sud, l’ovest e il Midwest americani.
Desiderate che riprenda dal principio?
Mi chiamo Bonnie Parker e sono nata da una famiglia texana, nel 1910. Eravamo poveri, non ho problemi a dirlo ed è proprio per questo che mi ritenevo ‘cronicamente insoddisfatta‘. Alla morte di papà – allora avevo solo quattro anni – ci trasferimmo, con mamma, nella città di Rowena, in un sobborgo di Dallas. Per qualcuno ero destinata ad una vita ‘normale’. Sposata, con figli… Quindi, ad un passo dai miei sedici anni mi fecero impalmare da un tale: Roy Thornton. Un tipo affascinante, a dire il vero. Solo che… non c’era mai. Al punto tale che avevo finito per fare amicizia con la sua perpetua assenza. Esperimento matrimonio, insomma, fallito.
In quanto a Clyde, era il quinto di sette figli. Barrow, faceva di cognome. Era nato in una fattoria nel Texas e aveva un anno più di me. La sua famiglia si trasferì a West Dallas negli anni ’20 ed qui che un po’ tutti vennero rapidamente coinvolti nella piccola criminalità. Anche la sua esistenza – vi confesso – avrebbe potuto prendere una piega diversa. Nel 1926, a17 anni, cercò di arruolarsi nella Marina degli Stati Uniti. Il caso volle che fosse rifiutato. Parlarono di motivi medici derivanti da una malattia infantile persistente… fatto sta, quell’evento lo cambiò. Irrimediabilmente.
Capisco… questi sono dettagli che poco o nulla saziano la vostra curiosità, ma c’è poco, in verità, da raccontare. Noi ci incontrammo. Ci incontrammo e basta. Era il 1930. Ricordo questo e ricordo che ero disoccupata e stanca di Dallas e ricordo che, subito dopo aver incrociato i suoi occhi, per me ha finito di esistere tutto il resto. Oh, sono morta – per chi se lo stesse domandando – indossando ancora i panni della signora Thornton. Ma non si tratta che di un dettaglio.
Ci descrivono come incalliti criminali ma, in fondo, non eravamo che bambini cresciuti troppo in fretta. Lui, in particolare, non faceva che entrare ed uscire dal penitenziario ed io inventavo ogni volta nuovi escamotage per farlo evadere. Lo ammetto, non eravamo bravi a nasconderci… forse, semplicemente, non ci interessava. Però, devo convenire che eravamo sopra le righe. Quando, durante un periodo in prigione, Clyde fu condannato ai lavori forzati in una fattoria carceraria, pur di evitarli si tagliò due dita dei piedi. Fu liberato sei giorni dopo ma, intanto, rimase zoppo. Ecco, questa era l’audacia di cui vi parlavo.
Pensate che io stessa subii la medesima sorte. Dopo un incidente d’auto quasi fatale, nel 1933, sviluppai una zoppia talmente grave che, a volte, avevo bisogno di un sostegno, per evitare di saltellare. Inseparabili, anche nelle disgrazie…
Nel frattempo, accumulavamo crediti come rapinatori. Operavamo presso le banche, senza risparmiare, tuttavia, negozi di alimentari, case di riposo, distributori di benzina e magazzini di armi. Per mantenere rifornita la scorta. Non si sa mai! Rapimenti e furti d’auto, poi, erano all’ordine del giorno. Ci servivano, per dileguarci in sicurezza.
Guardate che i prigionieri li trattavamo bene. Ci prendevamo cura di loro e spesso, prima di liberarli, davamo loro anche un po’ di denaro. In fin dei conti, avremmo voluto che nessuno si facesse male. Eravamo brave persone, solo che non ci hanno dato la possibilità di dimostrarlo. Ci fu un periodo, ad esempio, all’inizio degli anni ’30, in cui Clyde iniziò a lavorare in una fabbrica di vetro, in Texas. Era intenzionato a comportarsi da cittadino onesto, ma le molestie da parte della polizia non cessavano. Così, decidemmo che tanto valeva continuare per la solita strada.
Dire che il mio Clyde era un artista. Avrebbe potuto diventare uno di successo… Suonava il sassofono, sapete? E anche la chitarra. Lillian, sua sorella, ha sempre raccontato che, da ragazzo, suonava per il quartiere. Posso credergli, quel sassofono se lo portava sempre appresso. Se l’è portato dietro sino all’ultimo. Io, invece, mi dilettavo nella fotografia, tanto che, alla mia morte, trovarono un macchina fotografica e una serie di rullini, non ancora sviluppati. Trovarono anche il mio libro di poesie… Amavo scrivere, sin da piccola e il tempo trascorso in prigione non fu che l’occasione per iniziare a mettere seriamente mano alla penna. Non esisteva modo più dolce per raccontare di me… di noi.
In The Trail’s End narrai della nostra vita insieme e mi cimentai nella previsione, pure, della nostra fine. Sentivo che era imminente… che era solo questione di tempo. E, in effetti, neppure un anno dopo avrei avuto ragione.
Se la morte mi faceva paura? Ci convivevo, mio malgrado. Nel 1934, avevamo già accumulato 13 omicidi, nove uomini di legge e quattro civili. Dovunque, ci davano la caccia. Eravamo come animali braccati. Devi essere forte, in questi casi. E pronto.
Ricordo che, nel maggio 1934, eravamo in fuga su di una Ford Model 40 B Deluxe Sedan nuova di zecca. Ci erano alle calcagna. Ci tesero un’imboscata lungo la Louisiana State Highway 154.
Qualcuno rimase in attesa con l’auto di un nostro vecchio amico piazzata sul ciglio della strada, nella speranza che la visione ci inducesse a rallentare. Così avvenne. Rallentammo. Il primo colpo colpì Clyde, alla testa. Morì all’istante. Altri 112 proiettili si schiantarono contro l’auto, facendo a pezzi il veicolo… e me. Fui trivellata dai proiettili, ma questo non bastò a placare il caos. La polizia non era ancora soddisfatta e prese a processare amici e familiari. Accusarono persino la signora Barrow, la mamma di Clyde. Ridicoli! La tennero dentro un mese, inutilmente.
Il punto è che, in verità, ci invidiavano. Noi avevamo avuto la capacità e il coraggio di arrivare laddove loro mai avrebbero potuto. Rappresentavamo il sogno. Per di più, un sogno romantico. Noi incantammo la Nazione. Eravamo Romeo e Giulietta, riveduti e corretti. Possedevamo la sfrontatezza del giorno, in un momento in cui a regnare era la notte. E, in quel buio, riuscivamo a distinguerci, a dispetto di tutto… e di tutti.
Noi eravamo folli e innamorati. Liberi, nonostante le catene che si sforzavano di farci indossare. Imprendibili, per quanto ci catturassero e questo ci ha resi un mito e un modello da imitare. In quell’agguato siamo morti, vero. Ma siamo sopravvissuti, anche. Lo è, la passione di cui ci siamo nutriti ogni giorno. Lo è il cuore e l’ardore con cui ci siamo mossi, avventurosi fino all’estremo.
Noi non siamo stati, ma siamo e saremo. Noi, mai soli ed è questo il segreto. Facce di una stessa medaglia. Intrecciati, di qua come di là. Sfacciatamente amanti, irresolubilmente vincenti. Immarcescibili e infiniti. Oltre ogni possibile previsione…
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