‘Venti di Gloria

Ah, Gloria, Gloria dalle chiome corvine. Gloria, ironica e che sfornava mariti, nemmeno fossero biscotti. Ambiziosa e provocante, come le attrici che non sono nate per fare altro. ‘Din Don, la strega è morta!‘, avrebbero suonato le campane ai suoi funerali ma, intanto, era l’addio ad una Stella; una delle poche rimaste a brillare nell’olimpo di Hollywood.
Gloria… quanti ricordi mi si scatenano… Per me – lo ammetto – rappresentò una sorta di porta fortuna. Lei di Chicago. Io di Boston… ma ve ne voglio parlare più in là.

Adesso è, piuttosto, il caso che mi presenti. Basta il mio nome? Kennedy. Già! Quel… Kennedy. Oh no. Non il Presidente; né il fratello, del Presidente, badate bene. Vi chiedo di percorrere un passo appena indietro. Ad attendervi, ben piantato sulle scarpe, testa alta e spalle dritte, ci sono io. Joe, papà – lo avrete certamente intuito – di John, di Bob, ecc., ecc., ecc. Politico, diplomatico, imprenditore.

Il mio motto? Tanto per fornirvi un’idea: “Azzanna!“. Mutuato, peraltro, da un’indole – ovviamente – poco propensa ad accontentarsi. Chiunque – del resto – nasca vincente ha, per dovere, di puntare ai traguardi più elevati. Non trovate? Uno, dal carattere e dal percorso – come è che lo definirono all’Università? – ah, sì! ‘Tortuoso‘. Negli anni di Harward, d’altronde, misi subito in chiaro le cose. “Se non puoi essere il capitano, è meglio che non giochi!“. State facendo amicizia con il mio modo di essere?

E, poiché ‘non è un delitto essere giovani‘, a 25 anni ero già il Presidente di Banca più acerbo della città che mi diede i natali. Bocca chiusa, orecchie tese, naso sempre all’erta, per poter fiutare i migliori affari. Conoscevo le regole e le sapevo adoperare a mio favore. Subodoravo, captavo – allenato – in che direzione soffiasse il venticello proveniente da Wall Street e mi guardavo bene, poi, dal divulgarlo.
State pensando che ero uno squalo, vero? Oh, fate pure; me ne vanto. A mio avviso, ero solo ‘discreto‘. Che male c’è? A farmi ricco fu, insomma, un mix egregiamente messo a punto di oculatezza, lungimiranza e, insieme, non ultimo, lo straripante quantitativo di Bumba: Champagne francese, Whisky scozzese e irlandese… messi a disposizione dei miei facoltosi clienti. Merce, che proveniva da Oltreoceano e che veniva ‘elargita’, copiosamente, da una Costa all’altra. Ero, nel cuore degli anni ’20, il contrabbandiere più stimato – e rincorso – dalla Hollywood ‘bene’. Traetene voi le conclusioni.
Uno – ribadisco – che amava il rischio ma non il gioco d’azzardo. Ero piacevolmente attratto – mettiamola così – esclusivamente da investimenti ‘sicuri’. Il resto lo scansavo; non lo trovavo abbastanza suggestivo, o interessante.

Fu, così, che venni a sapere di un mio conoscente – un banchiere – che aveva investito 100mila dollari in un film. The miracle man, si intitolava. Ora che ci rifletto, mai nulla accade per caso… Ebbene, al botteghino, il girato aveva consentito un ricavo di 3 milioni di dollari. “Caspita!“, mi dissi. Di lì all’acquisto di una catena di 36 sale, in quel del New England, il passo fu breve,
Se la bocca – a questo punto del racconto – ve la trovate involontariamente spalancata per via dello stupore; se, in sintesi, vi sentite irretiti, beh, attendete ancora. Prima di rimanere stupefatti, aspettate!
L’intenzione – difatti – era ‘altra’. Siete dell’idea, con me, che non mi sarei mai accontentato? Io volevo… tutto. Pacchetto completo, o niente. Compresi i possedimenti – chiamiamoli così – di quel bifolco greco… Pentages – un illetterato, che sulle coste del Pacifico faceva il bello e il brutto tempo. Roba da pazzi!

In fin dei conti, con oltre 60 milioni di Americani invaghiti – letteralmente – dal mito di una vita gaudente, composta di donne disponibili e dai corpi mozzafiato, non era possibile astenersi dalla giostra dei 21mila cinematografi, per di più, in costante aumento. Certo, ogni film poneva un nuovo problema; implicava un’ispirazione differente… e chi si trovava a dirigere le varie Case era in dovere di anticipare o, se non altro, indovinare i gusti di un pubblico, sempre più vasto ed esigente.
A girare tutt’attorno, simili a iene divora-cadaveri, uno stuolo di impresari, modesti in quanto ad abilità ma arricchiti all’improvviso, stranieri – magari immigrati di recente. Ebrei avidi; ve la faccio semplice. Zukor, per dirne uno. Alto un metro e… un barattolo. Marcus Loew, altro commerciante. Louis B. Mayer, pure: lo conoscerete di sicuro, lo ‘straccivendolo’ e Samuel Goldwyn che, quando esercitava la professione di venditore di guanti si chiamava Goldfish. Pochi, tra loro, gli uomini di spettacolo. Uno era Jessie Lasky. Erano faciloni, perspicaci – tuttavia – e spudorati. Eccolo, il panorama che mi si poneva di fronte e c’ero Io, che rientravo, a mia volta, in questa stirpe di Cesari autoprodotti.

Cosa, in sostanza, mi differenziava dagli altri? Il tempismo, tanto per cominciare. Perfetto.
Il sorriso sempre spalmato sulle labbra, i modi cordiali, la parlata franca e quel tanto sboccata, da farla apparire persino sensuale. Mi trovate arrogante? Sbagliate. Si tratta unicamente di consapevolezza.
Ebbene, scientemente, approfittando delle difficoltà economiche dei proprietari, rilevai gli Studi Robertson-Cole (grazie, anche, alla collaborazione del Principe del Galles). Nel febbraio del ’26 assunsi, in pratica, la direzione della FBO Pictures e, finalmente, mi recai a New York.

Volevo ‘dare un’occhiata’ alla mia nuova azienda. Non stava male, tutto sommato. Ciò non di meno, rimaneva una realtà provinciale. Ogni settimana sfornava un lungometraggio, al costo stracciato di 30mila dollari e poggiava le sue sorti, a ben guardare, sulle imprese di tale Fred Thompson, attore che doveva la personale celebrità, principalmente, al suo cavallo. Silver King – questo il nome dello Stallone – viaggiava a bordo di un camion… trainato da una lussuosa Packard.
Rinnovai il contratto al ‘povero’ Thompson, per prima cosa, foraggiandone le tasche: 15mila dollari a settimana; quasi il doppio di prima. Quindi, feci visita a ‘Roxy’ Samuel L. Rothafel. “Provi un film di Thompson!“, gli proposi, armato di tutta la faccia tosta che avevo. E aggiunsi: “Glielo do gratis!“. La spuntai. The sunset legion si rivelò un successo. “Roxy non conosceva il suo pubblico“, commentai al tempo. “Adesso proietta soltanto film western!“.
Un’ennesima prova del mio fiuto ebbi a darla con Red Garage. Il Fulmine invisibile, campione di football con il sogno del Cinema, era stato in più occasioni respinto. “Perché no?“, valutai. One minute to play – sotto la regia di Sam Wood – ci regalò… un sacco di quattrini.

Ancora, nell’operazione ‘repulisti‘ intentata da Hays mi diedi da fare, per migliorare la rispettabilità di Hollywood. Considerai di inviare i Boss della Città degli Orpelli direttamente ad Harward, intenti a tenere una serie di conferenze rivolte agli studenti di Economia. Relatori dalla chiacchiera spiccia e poco signorile, lo ammetto. Ma tant’è!
Passai, poi, al teatro. Mi annettei come nulla l’impero di E. F. Albee, che feci fruttare, nel giro di poco. A breve termine, le azioni lievitarono da 16 dollari l’una alla modica cifra di 50. La FBO sarebbe presto divenuta, sulla strada tracciata, la RKO. Celebre e importante. la mia Creatura…
Chiaro, fin qui?

Ed eccoci di ritorno alla ‘faccenda’ Gloria… aveva appena terminato, la ‘puledra’, di girare nei luoghi originali della Francia Madame Sans-Géne. La Marquise de la Falaise de la Coudraye, come si faceva chiamare all’epoca, spedì in anticipo le istruzioni alla Paramount: “Provvedere all’ovazione, prego!“.
Dunque, il nostro incontro avvenne nel bel mezzo della folla adorante. Sarà stato l’effetto dell’ipnosi collettiva, o quello della pioggia scrosciante di fiori che ci planava addosso; forse il plauso va alla suggestione del momento… fatto sta, bastò uno sguardo.

Addio povera Rose (mia moglie, intendo), relegata alle prese con un’infornata di marmocchi. Per me – per noi – si apriva un capitolo completamente nuovo. Le bastò sbattere le lunghe ciglia e… tubare: “Joe, sei il miglior attore di Hollywood!“. L’attrazione dei convegni segreti, d’altra parte, era innegabile. Ci incontravamo di nascosto, furtivi, tra lenzuola di raso, ad Hollywood Hills e lì davamo sfogo ai sensi.

Finanziavo i film di Lei, sotto l’etichetta creatale su misura: la Gloria Production Inc. Un quadro, inequivocabilmente privo di graffi, o smagliature, inviolabile ritratto di un rapporto che ci appagava e ci saziava, fin quando non fu la volta di The Swamp (La palude).
Von Stroheim, il regista, era un genio ma parimenti noto per i metodi, alquanto bizzarri. Girava km e km di pellicola, improvvisando e infarcendo la trama con ghiribizzi sessuali, dal canto comune, discutibili.
Trattava, la storia – per farvela breve – delle vicende di un’orfanella che eredita un giro di bordelli africani. Nella scena ‘madre’, appariva tanto di prete libidinoso nell’atto di officiare un rito funebre al capezzale dell’ormai ex educanda, trasformatasi in una prosperosa Maitresse. Una ‘cupa atmosfera necrofila’, che in altro modo non saprei definire, pervadeva le immagini. E, per buona creanza, mi fermo qui.
Tutto sommato, il film non era neanche troppo sconcio ma improponibile – questo sì – visti i tempi.
Quando Gloria mi telefonò, gridando via cavo: “Joe, sono nelle mani di un pazzo!“, non potei non intervenire. Ero cattolico e, a mia volta, spaventato. Sentivo già sul groppone l’ombra di Hays. Licenziai, quindi, Stroheim. Rabberciai, sommariamente, il girato, ribattezzandolo Queen Kelly ma l’incompiuto non uscì mai negli Stati Uniti. Persi – primo smacco finanziario – la bellezza di 800mila dollari.
Gloria… perse me o, almeno, il mio interesse nei suoi confronti, che iniziò a scemare, finché la ‘nana’ (non immaginatela altissima, che davvero non lo era), non mi accusò di averla lasciata con una montagna di conti da pagare. Inconvenienti del mestiere!

A questo punto, lontano dalle distrazioni, non mi restava che concentrami ancor di più sugli affari, o meglio, sugli affari di Alexander Pentages, Inviai, in avanscoperta, la ‘candida’ Eunice Pringle. Una ‘spedizione punitiva’, direttamente orchestrata nel backstage del Pentages Theater. Manovra, quella della ‘finta violenza’ – ne avrete di certo sentito parlare – riuscita a metà. Accidenti!

Rialzai la testa, ugualmente e puntai, allora, là, nel rifugio ideale a cui guardano gli uomini senza troppi scrupoli. Mi attendeva un fulgido futuro nella politica. Assai più luminoso, proficuo, foriero di soddisfazioni. I soldi, quelli, ne avevo accumulati parecchi ma, in fondo, ero un pirata. Pertanto, mi imposi di veleggiare dritto verso la Gloria, quella vera.
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