Merope’s Tales (capitolo 17)

Merope’s Tales (capitolo 17)

Fammi vedere come ti spogli!“. Chissà quante volte devono averglielo chiesto, o imposto, o implorato… e, del resto, Lei, dello spogliarello, era davvero la Regina. Una “che aveva avversione per qualsiasi indumento dovesse indossare“. Lo dichiarò, a suo tempo, un impresario che la conosceva bene… Una – fate bene attenzione – che sul palco non ci è capitata per caso. Una, che la sua strada, anzi, se l’è andata a cercare. Passo passo, nel bene e nel male.

Certo, la sorellastra, Rosemary, al suo cognome di nascita aveva aggiunto quello… dei Minsky. Inevitabile svolgesse, a sua volta, la professione di stripper e forse, chissà, ballare rientrava nelle sue corde. Quindi, esprimersi attraverso la danza deve essersi tradotto, per parte della nostra, come l’espressione di un’inclinazione naturale.

Un talento coltivato, all’inizio, sotto le sembianze di danza classica. Una ragazzetta, tutto sommato, tra quelle che vanno a colmare le fila delle tante che servono a riempire il palco. Un bel paio di gambe, insomma e niente di più. Peraltro, neppure agevolata da inaspettati colpi di fortuna, come a molte accade o accadeva, ai tempi. Lei, la Signorina St. Cyr ha dovuto praticamente supplicare il suo manager, affinché la lasciasse esprimere in un numero da solista. Un’esibizione auto coreografata, che le avrebbe fruttato, poco più in là, una piccola parte in un club: il Music Box di San Francisco, in collaborazione con un gruppo di allora, le Duncan Sisters.

Ebbene, se volessimo parlare di rivelazioni o momenti di autentico riscatto, fu proprio qui che la bella Lili si rese finalmente conto della differenza di stipendio che intercorreva tra chi stava in mezzo a tante e chi vestiva i panni di Star. Oddio! Panni è un parolone: la prima ballerina, immancabilmente, era nuda.

Fu così che Marie Frances, la fanciulla di Las Vegas (qui i suoi primi ingaggi ma, per dirla tutta, era di Minneapolis) si trasferì presto in quel di Montreal, per coronare sogni, desideri. Per ricavarsi un posto nel mondo. Quel posto, quello che le spettava e per cui era intenzionata, d’altronde, a sudare. Per quanto, almeno, fosse possibile sudare, completamente immersa in una vasca, traboccante di bolle di sapone. Non vi richiama alla memoria, in qualche modo, la splendida Madame Von Teese? Ma torniamo a noi.

A differenza della più giovane imprenditrice, l’altra era bionda e tale volle conservarsi. Zigomi alti e sguardo glaciale. Due perle screziate di verde, che le valsero la bellezza di sei matrimoni. Nel carnet c’era di tutto: motociclisti, attori, ballerini, giornalisti, giocatori di hockey, persino ristoratori. Eh no, non si può certo dire che la desiderabile Lili si sia fatta mancare nulla…

Scusate, riprendo. L’avevamo lasciata, amenamente circondata da una montagna di bolle leggere, pronte a librarsi attorno al suo corpo, completamente svestito. Gioiose, irriverenti, birichina trovata per un provocatorio ‘vedo non vedo‘, che serviva ad irridere la legge. Eh già! Finiamo per ritrovarci immancabilmente al medesimo punto. Quello, cioè, in cui una donna era costretta ad inventarsi un escamotage, per sfuggire alle maglie strette e sin troppo rigorose di norme obsolete, che nessuno, in fin dei conti, aveva voglia di sentirsi addosso.

Tant’è. Così era, tanto valeva imparare a sgusciare come anguille via dalla presa. Spiego meglio: in Canada, come negli Stati Uniti, era vietato ai ballerini abbandonare il palco, con meno vestiti addosso di quando ci si era saliti. Dunque, cosa altro si poteva fare, se non dare il via ad una lenta e seducente… vestizione? Le contraire… Signori miei, funziona sempre. Mi spingerò oltre… spesso, funziona di Più!

Incomparabile Lili – tale era, almeno, la presentazione sui manifesti – che terminava il suo spettacolo, di volta in volta, indossando un’elegante mise Dior, una stola di visone lunga fino ai piedi e una collana di perle, che le accarezzava il collo. Classe… e studio. Applicazione. C’è chi nasce con il cammino spianato e chi, invece, il proprio itinerario verso il successo deve ricavarselo. Ecco, Per Lili, per Marie Frances era andata così.

Niente era lasciato al caso, dunque. Non certo i particolari quasi maniacali, con cui venivano curate le scenografie. Specchi monumentali facevano da contraltare a divani damascati. I letti erano arredati da copriletti intarsiati, in un gioco che misurava di eleganza, trasudava di lusso e si vantava, persino, di una vena di esotismo che, distribuita qua e là, non stonava affatto. Alla faccia del clero del Quebec, che provò a darle contro nei primi anni ’50. Inutilmente, Anatomic Bomb, secondo il soprannome che alcuni vollero attribuirle, fu assolta. L’algida figurina dalle chiome dorate aveva, d’altro canto, a suo credito, più di una carta da mettere sul piatto. L’altra performance che la rese celebre si intitolava: Il perizoma volante. Serve che aggiunga altro?

Forse sì! Sappiate, allora, che quell’appena percettibile stralcio di stoffa, dopo essersi sfilato ‘da solo’, cominciava a danzare e a muoversi in autonomia. Pezzo singolo, che si faceva compagine di un’esibizione ‘a due’ e difficile era stabilire chi guardare per primo, o più a lungo.

Riviste e giornali non facevano altro che evocarla o evocarne il lavoro: La donna Lupo, Il pomeriggio di un fauno, La vergine cinese… sono solo alcuni, tra i tanti titoli con cui invitava gli spettatori a seguirla nel suo mondo di favola.

Una favola glam, la cui protagonista era una giovane ‘sincera’. Sincere, secondo il suono che assumeva il cognome creatosi addosso, in lingua inglese, ma che evocava anche un po’ di francese. Una donna, unitamente, schietta e libera e volutamente padrona della propria esistenza. “Finché avrò me stessa, non dovrò dipendere da nessuno“. Caspita! Che carattere e che piglio e che intraprendenza!

Fu, financo “la prima, a pagare gli alimenti ai rispettivi ex, nello stato della California“. Una, vi dicevo, che faceva chiacchierare di sé; che incuriosiva e, intanto, incuteva soggezione. Una, che scompigliava le carte e se ne compiaceva. E come darle torto!

Una volta, Mike Wallace, celebre conduttore dell’epoca, ebbe a domandarle: “Cosa diventerebbe la società se tutte le donne la pensassero come lei?“. La risposta non l’avremo mai ma sarebbe stato bello, o quanto meno interessante, immaginare un pianeta, fatto di Femmine che non si lasciano imbavagliare, che non intendono farsi incastonare nel ruolo ‘unicamente’ di angeli del focolare. Non appagate o non del tutto nei panni di madri e – al contrario – dimentiche della dimensione che le relega a genitrici, per assurgere a funzioni altre: più complesse e che avrebbero richiesto, all’epoca e non solo, un prezzo assai più corposo.

La Stella del Gayety Theatre riceveva un compenso di 5.000 dollari a settimana, una cifra sbalorditiva, a fare i conti e poco importava che – addirittura – l’illustre Orson Welles si dichiarasse pronto ad impalmarla. Che, poi, le cose trovano una loro spiegazione abbastanza fluidamente. Era stata cresciuta da sua madre, giacché il padre, un militare, era sparito in fretta dalla vita di entrambe. Loro, mamma e figlia, erano rimaste depositate in quel contesto, in cui scarseggiavano derrate e affetto e allora bisognava provvedere. Riscattarsi, riabilitare la personale visione di sé. Mietere quattrini rientrava in un quadro più generale che suonava di indipendenza e di autostima.

Facile, quasi banale, pertanto, ritrovarla come prima performer resident, nella Capitale del gioco d’azzardo. Naturale pensare a chachet dalle cifre esorbitanti o a Show, che registravano immancabilmente il ‘tutto esaurito’.

Una Giovanna d’Arco inedita – era nuda, anche nel caso in questione, agli esordi della sua carriera – capace di concupire i giudici che avrebbero dovuto condannarla.

Oscena, immorale, indecente. “Il teatro in cui si esibisce puzza del fetore della sua frenesia sessuale…“. Più che avere l’aspetto di accuse, si fregiavano, gli epiteti con cui veniva additata, del valore di medaglie al merito. Vero. Il Gayety Theatre, alla fine della faccenda, fu chiuso ma Lili era già distratta, con lo sguardo, verso altri lidi.

Il primo film ufficiale, in effetti, altri non era, se non un cortometraggio di 8 minuti, autoprodotto: Cinderella Love’s Lesson, datato 1953. La nostra Cenerentola, in pratica, svestiva i panni di serva, per assumere quelli di principessa per poi, ai rintocchi della mezzanotte, ritrovarsi senza… nulla addosso. Ricoperta ‘solo’ dell’infinita grazia delle sue forme. E sia.

La pellicola era probabilmente destinata a circuiti alternativi, ma non fu l’unica. Seguiranno, nell’ordine, Asfalto Rosso; Il figlio di Simbad, Il nudo e il morto che – a dispetto delle premesse – narrava di guerra. Ancora: La vita di un gangster e Runaway girl, per chiudere. Sbiadito epilogo per una che, invece, era nata per farsi guardare.

Deve averlo intuito Bruno Bernard, noto fotografo hollywoodiano, che la elesse a musa e modella preferita. Una pin-up, ‘fuoco nel ghiaccio’, che lasciava intontiti e che, in maniera sublime, si è voluta raccontare nella sua autobiografia: Ma vie de stripteaseuse (La mia vita da spogliarellista).

Lili, che si era reinventata, nuovamente, come modista per i costumi che tanto intorbidivano le fantasie degli uomini e che, altrettanto, eccitavano quelle delle donne o di quante, almeno per un istante, avrebbero voluto sentirsi sue pari. Capi, disegnati e modellati, uno ad uno, “ideali per lo streetwear, il palcoscenico, o la fotografia“.

Beh, non è andata poi così male“, ebbe a riferire, in un ipotetico bilancio conclusivo. No, non le era andata male. Poco più avanti, ci sarebbe stata un’altra bionda ad emularla. Più insicura ma ugualmente incisiva. Una, che – disinvoltamente – avrebbe spiegato al mondo come i diamanti siano ‘i migliori amici delle ragazze‘ e qualcun altro, in un indimenticabile Musical, l’avrebbe celebrata, la disinvolta professionista: “Dio benedica Lili St. Cyr!”, si sarebbe cantato a squarciagola, nel bel mezzo del Rocky Horror Pictures Show, omaggiandola, come in innumerevoli altre occasioni e a più riprese.

Icona, vedette di un firmamento effimero, evanescente… eppure destinata a durare. Permeata di ambizione, incentivata a fare e a fare sempre meglio; innamorata – irrimediabilmente – della sua Montreal… “La città mi ha trasmesso un Virus incurabile. La amavo, più ancora dei sui abitanti e comprendevo che si trattava di un gioiello, senza eguali…“, lascerà scritto.

Omaggio virtuoso di Nerissa, o Jersey Lili o dei mille volti indossati, quelli si, per trasformarli ogni volta in un’anima diversa, per raccontare, occasione dopo occasione, un’esistenza nuova e insospettabile, o fare rimanere tutti a bocca aperta, come la volta in cui, chiamata a difendersi, dopo un’esibizione presso il Ciro’s di Hollywood, eseguì il suo numero nel clima austero dell’aula di un tribunale e convinse. Raffinata, mai volgare, carismatica e Bionda, come nessuna avrebbe più saputo essere, al suo posto.

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