Merope’s Tales (capitolo 19)

Merope’s Tales (capitolo 19)

Avete presente il Brucaliffo? Già, non c’è verso. Non riesco ad allontanarmi dal Paese delle Meraviglie e da quel viaggio di scoperta, in cui ogni incontro si rivela inaspettato e foriero di novità. Sarà un caso, una coincidenza, ma in questo mio visitare luoghi e personaggi, mi accorgo, sovente, che gli uni ne richiamano altri, parimenti estrosi e che, spesso, i protagonisti del primo tanto assomigliano a quelli, altrettanto accattivanti, ideati dalla penna del maestro Carroll.

Così è, anche nella circostanza… Ed è con la medesima curiosità dell’incosciente bambina che mi approssimo a conoscere Shirley Rose. Un’incognita, esattamente come risponde l’intervistato ad Alice, quando quest’ultima gli domanda chi sia. E se, a mia volta, ‘Io non sono più Io‘ e ‘Non so più niente, neanche quel che sapevo a memoria‘, per citare la nostra, è altrettanto vero che Lei, sulla falsariga, ‘sembra un Rebus…’.

Recito, dunque, solenne: “La vispa Teresa, avea tra l’erbetta, un volo sorpresa…” ma non arrivo alla gentil farfalletta perché Lei, intraprendente, mi ferma.

Il coccodrilletto, nel fiume un dì discese e a nuotar sorprese,

di pesci un bel gruppetto e tutto arci-giulivo gli artigli suoi arrotò,

dischiuse poi le fauci e i pesci si mangiò!

Vi sembra una versione crudele… una visione esasperatamente feroce del mondo? Sbagliate. E’, semplicemente, la personale prospettiva di un bruco, che attende di divenire farfalla e intanto, dai suoi dignitosissimi 8 cm di carne e sangue, osserva. Lo fa con discrezione, armato di ironia. Distante quanto basta, per non lasciarsi troppo coinvolgere.

Devo entrare‘, sussurro tra me e me. Devo carpire esattamente chi sia, giacché non esistono, in questo mio percorso, comparse e colei che mi sorride, a tratti maliziosa, apparentemente svampita, poi assolutamente centrata è indiscutibilmente affascinante, per non approfondire. Lo è, intendo, la sua testa. I modi di approcciare, vagamente indolenti, che sposano una simpatia non voluta e poco importa quale sia il suo nome… Anzi, no. Importa, eccome, giacché, se mi intrufolo appena, Alessia significa, guarda caso, ‘colei che protegge‘, proprio come l’insolito bruco, che richiama Alice, indispettita, per aiutarla. Per svelarle gli indizi e farle riacquistare le giuste dimensioni, a cui tanto ella tiene.

Salvo, poi, apostrofarla in malo modo, nel momento in cui si sente offeso…

Ecco, la figurina che mi si pone ora di fronte è misteriosa e complessa, parimenti. Lo raccontano i suoi occhi furbetti e l’abilità nel simulare una svagatezza di pensieri che, a ben guardare, non esiste o, se esiste, viaggia, mutuata da una determinazione accesa. Potrei, meglio, definirla ambizione. Un piano aperto verso il futuro, in cui non esiste una carriera già scritta ma porte che si aprono. Alcune socchiuse; altre, più o meno spalancate.

Non so chi sia, ancora, vero. Eppure la intravedo, a mano a mano. Ne distinguo i tratti, rarefatti al momento, che si accompagnano al fedele meticcio che le corre dietro. Si avvicina, si lascia coccolare Lui, lascivo, abbandonato… affamato d’amore. Non si ribella quando lo si avvicina, chiunque lo avvicini e questo suo agire lo descrive della stessa ‘apparente’ pigrizia della sua padrona.

Portate attenzione, poiché le parole hanno un peso e qui il virgolettato conta, eccome! Apparire non significa ‘essere’. Dunque, voglio capirne di più…

Parto, allora, per avvicinarmi e sfiorarla, da Pedro Calderòn. Lo spettacolo è in allestimento, nel momento in cui ci troviamo una di fronte all’altra, in attesa di aggiudicarsi il dovuto spazio presso il Teatro degli Eroi, rivisitato in una versione declinata tutta al femminile… La vida es sueño, scrive l’autore. La vita è sogno, a sottolinearne, al tempo stesso, la fugacità. Illusoria, dispettosamente vana… Non conoscete la storia?

Ve la accenno. In un’immaginaria Polonia, vive il re Basilio, esperto in astrologia. Ebbene, alla nascita del figlio Sigismondo, egli prevede, per la sua progenie, un futuro da dittatore sanguinario e tirannico e, per evitare l’infausta sorte, lo fa rinchiudere in una torre, sotto la custodia attenta del fido Ministro Clotaldo.

Vi rammenta qualcosa… o qualcuno…?

Già, ma chi è padrone del proprio destino…

Un giorno, il sovrano decide di mettere il figlio alla prova. Dopo averlo fatto narcotizzare, ordina che sia trasferito a Corte, in mezzo alla gente ed è qui che – ahinoi – l’umana natura farà i conti con se stessa… Ricondotto in prigione, Sigismondo prende atto del sottile confine tra sogno e realtà e si risolve, infine, nella certezza di una verità superiore. La vita, appunto, è sogno ed è così labile e breve che non vale la pena rovinarla; né nella sua dimensione onirica; né in quella reale.

Liberato dal popolo che lo vuole sul trono e sconfitti i nemici, quindi, Sigismondo ne avrà pietà, dimostrando un cuore, forse poco allenato ma nato, in fondo, per non esser cattivo.

Ecco, adesso, in questo preciso istante, Sigismondo veste il respiro di Shirley Rose… Non c’è malvagità, di fondo, probabilmente poiché è ‘fatica sprecata’! Dunque, meglio agire, meglio intraprendere la politica di un fare che la conduca lontano, che le possa regalare un domani ricco di tutto quel che, nell’animo, desidera… Fluttuante e inafferrabile, come il fumo che sbuffa dal narghilè del Brucaliffo ma, al contempo, concreta, determinata nel procacciarsi giorni diversi dall’oggi, descritti di obiettivi da raggiungere e una crescita, che porti a qualcosa.

Questo è quel che vedo, o che mi lascia vedere, al primo approccio ma mi domando, al pari di Sigismondo, se anche il mio non sia, in fin dei conti, niente altro che un sogno…

Chiedo foto, dunque e mi getto in un’osservazione più attenta e minuziosa, per poter più correttamente valutare. Oh, non è un giudizio che cerco. Attendo semplicemente di immergermi. Effettuare un tuffo nel profondo di una personalità, che non è intuibile ma va scavata.

Giochiamo? Le domando ed è subito un Sì.

Anzitempo, la prima rivelazione. L’approccio; cioè, il ‘personale’ approccio all’arte del Burlesque non prescinde, a sua detta, dalla musica… e dalla danza. “Secondo me, si può fare entrambe le cose allo stesso livello. Ballando, ti puoi spogliare, tranquillamente. Poi, ognuno trova il proprio mood… Io l’ho trovato così e mi sono sentita bene“. Chiara, netta. Mi fa subito visionare le immagini del suo ultimo spettacolo in cui, appunto, si è esibita sulle punte. Ballerina creepy di un fantomatico Carillon, si spogliava, intanto, per il piacere di un pubblico che, nel frattempo, aveva modo di ascoltare e di godere – anche – di una seconda arte… La sua, arte.

Del resto, aggiunge: “Il Burlesque ti fa capire quanto una donna può essere sensuale e bella, senza esserlo“. Ci tiene a precisare il concetto, si infervora… “Chiunque, veramente, può fare Burlesque!“. Lo dice convinta. Lo ribadisce a più riprese, come a voler diffondere un’idea, per contagiare chi ancora ne è lontano, o ne è poco avvezzo. “…in qualche modo, devi saperti accettare!”. Eccola spiegata, quella che potremmo riconoscere come ‘Regola aurea’. Insomma, il Burlesque ti educa, divertendoti e lo fa sotto traccia, malandrino, senza che Tu, direttamente coinvolta, neppure te ne accorga. Il vero nemico? Gli stereotipi, semplice.

Allora spingo un po’ il pedale e mi addentro più a fondo…

Sei alla tua performance d’esordio. Qual è l’immagine che ti porti appresso? Generosa, le porgo sul piatto ben cinque opportunità:

  • Un gomitolo di lana, che rotolando si è snodato
  • Un rombo di tuono, seguito dal bagliore di un fulmine
  • Una poesia, ben scritta e strutturata, a rime composite
  • Un’improvvisata Jazz al pianoforte
  • Un bagno caldo ristoratore e poi… la carezza del friccicare di un camino

Non ce n’era bisogno. Mi risponde, infatti, immediata, lapidaria, risolutiva: “Pianoforte!”. E’ il là, per il resoconto, in chiave totalmente ironica, del suo debutto sul palco. ‘Il mio primo Burlesque ho presentato il Tango di Roxanne, però… Io non amo il tango‘, tiene a specificare e ride, intanto, domandandosi ‘Perché?‘, nella constatazione che, davvero, non ama nemmeno scegliersi strade di facile percorrenza… D’altronde, non è forse il Burlesque improvvisazione? Allora, facciamo jazz e che non se ne parli più!

Sono disordinata, Io. Sono caotica. Io amo le regole. Non le seguo…. Al lavoro sì, però. Sono molto rigida“. Mi diverte, la dicotomia del suo descriversi. Battere e levare, somiglia, l’andamento, al ritmo di un metronomo…

Sei un orologio. La pongo di fronte a ‘cosa fatta’. Che ora della giornata segni?La sera è quella che mi piace di più. Sera e notte sono le ore che mi piacciono di più…“, riflette. Quindi, colgo l’attimo e cavalco l’onda. Ti porto in vacanza. Dove stiamo andando, al mare o in montagna?Allora… al mare… ma in mezzo al mare…“. Pausa. “Io non amo la spiaggia. Non amo prendere il Sole… Io ho bisogno dell’acqua!” Caspita, la ragazza! Non potrei nemmeno dire che la sua è indecisione, perché nel saziare la mia curiosità va dritta; eppure, si rivela donna ‘a pieno titolo’. La donna è mobile, qual più mal vento…

Una donna, che trova rifugio nell’acqua e che porta nel cuore un ricordo prezioso… “Ho visto la Tunisia da lontano. Sono stata a Pantelleria. Da lì, c’è un punto… Ti rimane proprio impressa… Tant’è, che Io andavo là… solo per vederla!“. Ridiamo, ancora, in questa dimensione Buffa di un colloquiare che vuole appartenere alla sua Musa, in tutto e per tutto. Burlesque deriva, in effetti, da burla e è esattamente questo lo spirito che ci accompagna. Leggere… proseguiamo.

Una, vengo a sapere, che sogna più ad “occhi aperti“; che sia Shirley, sia Alessia vivono sul filo dell’umorismo, involontaria chiave di sopravvivenza, che le avvicina e le rende complici. “Si affrontano meglio le cose!”. D’altronde, il Teatro – là dove nasce il verosimile – ha assunto, per la nostra, la dimensione di Casa: “Ormai è una famiglia, quindi… è tutto!” e lo porta con sé, anche nella sua seconda pelle dove, soprattutto, ama esibirsi sulle punte e sorprende, per questo. “Effettivamente, non lo fa quasi nessuno!” “Si deve fare… perché, secondo me, si può fare. Le cose si possono mischiare“. “Perché ti devi togliere le scarpette? Il messaggio è questo. E’ bello… Il Burlesque non è solo tacchi alti… non è solo quello…“. Pensate che la faccenda si faccia seria? Aspettate, un solo istante. Icaro ridiscende sulla Terra, quando le chiedo della ‘volta no!’: “Sempre quel giorno in cui ero ubriaca!”Era uno spumantino, alla fine, era pure buono. Però… penso di essere intollerante a qualche solfito!”. Quanto è bella, così soave…

Dunque: una moneta per ogni tuo pensiero, mentre ti esibisci. Divento ricca o rimango povera?Io non penso‘. E’ presto detto. “E’ come quando recito. Mi immedesimo talmente tanto, che i pensieri si tramutano in sentimenti. Punto”.

Prima dello spettacolo?Prima: ansia, ansia, ansia, ansia… xanax, ansia, xanax…“. “Durante, mi estraneo dal mondo. Quindi.. vuoto assoluto…“. “Poi… sollievo“. Chissà se l’alternarsi dei diversi stati d’animo non derivi dalla consapevolezza del doversi raffrontare con un universo declinato, per lo più, al femminile. Conferma, Shirley. “Io ho visto pochi maschi“. Il Burlesque, d’altro canto, si rivolge alle donne… “Invoglia le donne. Cerca di far capire alle donne che possono osare. Possono volersi bene… Qualunque donna può essere femminile e deve essere femminile. Il Burlesque è questo ed è bello. Con l’ironia, con la comicità. Con la sensualità… Non parla agli uomini… Ma è porno!“. Ahahahahahah!!!

Pornograficamente, allora e sulla medesima scia, ci approcciamo ad ulteriori dissertazioni. L’approccio nei confronti del pubblico?Io penso di non afferralo proprio. Dico la verità… Io mi svuoto!“. Sa bene che non bisognerebbe mai rivolgere gli occhi a terra; né estraniarsi dal contatto visivo ma ride, nuovamente, mentre, con un candore da fare invidia, ammette: “Io il teasing non so da che parte sia!“. Facoltà, questa, di chi, in fin dei conti, viaggia ancora nella posizione di allieva e può; anzi, deve poterselo permettere. “Ancora non sono una professionista, quella è la realtà“.

Un pulcino, a ben guardare, che appena si sporge, nell’attesa di uscire dal nido… Chi è la tua mamma Burlesque?Mamma Burlesque è Giulia“. Giulia Di Quilio, al secolo Vesper Julie. Una mamma importante e – qualcosa mi lascia immaginare – enormemente affettuosa e se le prefiguro, un giorno, l’idea di essere mamma a sua volta, mi spiega che… “Ma magari! Però Io non sono brava ad insegnare“.

Nel sentiero verso l’apprendimento, tuttavia, Shirley non ha lesinato di mettersi in gioco. Una volta, addirittura, ha indossato i panni di Mago, impreziosita, la sua esibizione, da una sorta di ‘Scatola delle meraviglie’ da cui poteva spuntare… di tutto e lo studio dei segreti che si celano dietro la disciplina in esame è stato, rivela, puntuale e meticoloso.

La paura?Di spogliarmi, no; perché non mi dà alcun problema. Penso… di sbagliare… di non ricordarmi qualcosa… di commettere un errore. Non del giudizio delle persone perché, alla fin fine, loro non sanno nemmeno che sto facendo…“. Già, la partita se la gioca tutta con se stessa, naturalmente portata a cavarsela’, al di là, pure, del livello di difficoltà. Sarà una mia impressione?

Magari, l’epilogo non corrisponde alle aspettative e può accadere che le carte… finiscano per mescolarsi. Ed ecco che si riaffaccia Calderòn, ma cosa si disegna più potente di un sorriso, quando si ha bisogno di ripristinare l’equilibrio? Lo sa bene Lei, che è del segno del Bilancia, o forse non lo sa. E’ la sua stessa indole ad imporglielo. Un po’ come la fiaba della Rana e dello Scorpione.

Così, sempre rimanendo in tema, pertanto, azzardo: Sei più cicala o più formica?Sono più cicala“. “E’ un difetto che ho…“. Segue, spiazzante: “…e non me lo posso neanche permettere!” Per fortuna, “riesco a gioire delle piccole cose…“, conclude, e d’un tratto si fa introspettiva… La volpe e l’uva.

Questa è breve, quindi espongo:

Una volpe affamata, come vide dei grappoli d’uva che pendevano da una vite, desiderò afferrarli ma non ne fu in grado. Allontanandosi però, disse fra sé: «Sono acerbi»…‘.

Restiamo in argomento, allora. Lasciamoci trasportare ancora da Esopo e dissertiamo… di invidia… Ti è mai capitato? “Essere invidiata, sì; invidiare, no. E mi sono sempre chiesta il perché“. Chissà, magari è il modo in cui prende le cose… Paladino mancato, si autodefinisce, soprattutto quando si tratta di lavoro. Cosa ammira?La tenacia che hanno le persone che ce la fanno“. Non fa una piega.

Immersa nel suo mondo, non si lascia distrarre, mettiamola così, pienamente concentrata in quel che le compete e la comprende e, semmai si dovesse smarrire, sarebbe in un’epoca che, in realtà, non esiste. Un Medieval punk – come, per prima, lo definisce – che, vuoi o non vuoi, ha tutta l’aria di calzarle a pennello. Medioevo, non Medioevo; o meglio, Medioevo futuristico. Coerente… nelle sue contraddizioni!

Continuo ad indagarla…

Sei vanitosa?A periodi“. Più egoista o più egocentrica? “E’ una bella domanda. Egoista… no. Non credo, anzi. Non credo. Egocentrica? Forse sì, in realtà. Forse sì. Forse egocentrica sì e non è una buona cosa, quindi la posso catalogare tra i difetti”. Sei nuda sul palco. D’istinto…Faccio Burlesque!“. Motivo, decisamente logico, per non vergognarsi. Se ti dico ‘bella’, quale parte di te sto guardando? I capelli“, segue fragorosa risata. “Perché me li sono fatti ricci. Ho la permanente. Io sono liscia!“, quasi a rivendicare la possibilità di essere ‘altro da sé’. Non per forza, allora, si finisce per aderire alla personale natura… o forse sì; forse a guidarla è lo straordinario senso pratico, di cui viaggia equipaggiata.

La invito a farmi una smorfia. Poi, non mi resta che chiederle, di rimando: meglio essere o apparire?Essere“. Dunque, se le dessi un abito da indossare, si tratterebbe, con tutta probabilità, di un vestitone largo – cito testualmente – che la mantenga comoda; niente trucco, meglio un viso acqua e sapone; scarpe con tacco medio e pochi orpelli al seguito. Nella elucubrazione se sia più facile essere persona o personaggio, è la seconda, l’ipotesi vincente. ‘Spesso credo, anzi, di interpretare un diverso personaggio in ogni situazione’. Lo faccio – asserisce – per comodità. Potremmo, al punto in cui siamo, immaginarla bugiarda: ‘nel Paese della bugia – cito Gianni Rodarila verità è una malattia‘. Ebbene, Shirley è malata. Nel senso che, a dispetto di quanto appena riportato, rimane attaccata; di più, asserragliata, al suo concetto di verità. “Io sono costretta a mentire, per salvarmi. Mettiamola così…“.

A proposito di bugie… e di verità. “A me piace passare inosservata, devo dire la verità, quando non sto sul palco“. Ho a che fare con un piccolo Camaleonte… ma sull’argomento, ci torneremo… Tant’è, se le regalassero un potere, accetterebbe ben volentieri di essere invisibile.

Quando, poi, le domando come sia nato il suo alter ego mi sfodera… l’inaspettato. Chi di voi conosce Myra Maybelle Shirley Reed Starr? Orbene, sappiate che Belle Starr – secondo il nome abbreviato che, al tempo, le era stato affibbiato – figura tra le criminali più incallite del vecchio West. Una dama elegante, che era solita cavalcare equipaggiata di ben due pistole, senza mai rinunciare ai suoi abiti in velluto nero. L’ispirazione per Rose, invece, è arrivata direttamente da Polansky e dal suo famigerato Rosemary’s Baby. Capito, la giovincella?

Che poi, a rifletterci, di banale, il copione non ha proprio nulla. Quando lo lesse, ne rimase impressionato persino il regista: “All’inizio, pensai che avessero fatto un errore, perché sembrava una cosa sdolcinata… ma decisi di leggere un po’ di più, per vedere come andava a finire. Alle quattro, ero ancora sdraiato sul letto, circondato dalle pagine del manoscritto. Non riuscivo proprio a fermarmi!“. Esattamente quel che penso di Lei!

Inquietante; rivoluzionario, per i tempi. Uscì nelle sale nel ’68, tratto dall’omonimo romanzo firmato da Ira Levin. Una curiosità? La pellicola era stata proposta, in precedenza, al maestro del brivido ma Alfred Hitchcock, semplicemente, declinò.

Ora, vedete, il percorso prende strade non premeditate e non so ancora se intendo addentrarmi tra i rami poiché, dal sogno all’incubo, il passo è breve; ma non posso neppure arrestarmi a metà della via. Traggo un respiro, pertanto e rallento. Mi concedo una pausa, in questo mio itinerario, vagamente turbata per il nuovo accento che ha assunto la conversazione.

Il sentiero, lo so, è ancora lungo ma non vorrei mai imbattermi, in questo mio peregrinare, nella Regina di Cuori

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