La maratona di New York cancellata a causa del Coronavirus

La maratona di New York cancellata a causa del Coronavirus

Indumenti – magliette e leggings – ad effetto compressione – se possibile – per contravvenire agli eventuali sfregamenti ma, prima ancora, traspiranti; scarpette adeguate, vale a dire già adoperate – secondo quanto suggeriscono gli esperti – pastiglie di sale, oppure gel, da inserire in un borsello, flessibile e leggero; e poi vaselina, oli sportivi o talco, da adoperare sulle zone sensibili; cerotti, che non si sa mai… E ancora, reggiseni sportivi, per le ladies e nastro adesivo, a tampone dei capezzoli… eccola, la tenuta per correre da veri professionisti. Sì, perché partecipare ad una Maratona è paragonabile ad un vero e proprio lavoro, anche per quel che riguarda l’abbigliamento.

Ciò premesso, a volte – nonostante tutto – le cose non vanno come dovrebbero. E’ il caso della New York City Marathon, la più celebre riunione sportiva del mondo che, giunto alla 50ª edizione (56 mila iscritti, posti esauriti), in programma il 1° novembre prossimo venturo, è stata annullata.

Cancellata, o meglio, spazzata via, dai venti nefasti del Coronavirus. Cause di forza maggiore, dunque, per un evento che, annualmente, si snoda attraverso i cinque grandi distretti della città americana, convogliando al proprio cospetto, oltre i 10.000 volontari, 1 milione di appassionati spettatori, disposti lungo la tratta.

Un fatto, a questo punto, non nuovo, dal momento che medesima sorte hanno subito le città di Berlino, Boston, Milano, Roma, come pure Parigi, Chicago e Londra. Una debacle, insomma, tanto che gli organizzatori sollecitano il parere negativo delle autorità locali, per attivare le polizze assicurative. I 3.500 italiani già iscritti (il solo pettorale costa 500 euro) attendono, adesso, con ansia.

Lunedì 22 giugno la Grande Mela, è vero, è entrata nella Fase 2 della riapertura. A confermarlo, orgoglioso e pronto, Andrew Cuomo, governatore dell’eccellenza. Ma recuperare il senso della normalità non è un gioco da ragazzi: 400 mila contagi, 25 mila morti e milioni di posti di lavoro persi. Questo è ciò che raccontano le cifre.

Altri numeri, invece, destano attenzione. Solo in Italia, per dirne una, si staccano, ogni anno, 1,5 milioni di ‘biglietti’ per prove di running, ciclismo, sci di fondo, trail, dalle gare top (le prime 10 generano un indotto superiore ai 15 milioni di euro ciascuna) alle strapaesane.

Nel 2019, solo nel running, 52 mila italiani hanno corso una maratona, 133 mila una mezza, 500 mila un accadimento, su distanza diversa.

Poi quel dannato 8 marzo. “Abbiamo rimandato con molto anticipo la Maratona di Milano, al 2021“, specifica Andrea Trabuio, responsabile Mass Events di Rcs Sport.”...per rispetto verso i partecipanti. Inutile nascondere i problemi: il distanziamento sociale in una grande gara è difficile e quando si corre o pedala bisogna mantenere spazi molto ampi. Serviranno termo scanner, ristori sigillati e, probabilmente, partenze differenziate. Tutto fattibile per un’organizzazione professionale, tutto da progettare nei dettagli, quando arriveranno direttive scientifiche precise“.

Lavoriamo su due ipotesi di ripresa“, riprende – sullo stesso tono – Fabio Pagliara, segretario di Federatletica che, subito, però, mette in chiaro: “Temo che, nel 2020, ci sarà spazio solo per piccoli eventi, che testeranno i protocolli di sicurezza, come le corse in montagna. Non siamo nemici dei runner. I problemi sono tanti, dal via libera del Governo alle norme regionali, a chi si assumerà la responsabilità, in caso di contagio”.

E ancora, prosegue: “Immaginare 2, 5 o 10 mila persone che partono assieme, oggi, non è realistico. Certo, chi organizza va aiutato. …valuteremo l’abolizione delle tasse gara e aiuti alle Società. Ma qualcosa dovrà cambiare. Non si può correre con la mascherina, ma la si può indossare fino al via, per poi distribuirsi responsabilmente sul percorso. Il Governo dovrebbe concedere crediti di imposta agli Sponsor; gli Enti locali ridurre le pretese“.

Tutto in forse, in sintesi. Tranne la voglia di continuare a credere e lottare per difendere quello che non è solo uno svago, ma una fonte di introiti e, non ultimo, un modo – per quanti lo praticano – per volersi bene, per sentirsi comunità. Semplicemente, per guardare, spalle dritte e sguardo avanti, testa alta al domani.

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