Lauren Hutton e quel suo trench mai perduto

Lauren Hutton e quel suo trench mai perduto

Il trench beige – must per la stagione 2020/2021 – il sorriso luminoso, l’incedere velatamente insicuro ma ironico di chi, di esperienza, ne ha accumulata parecchia.

Eccola Lauren Hutton, all’anagrafe Mary Laurence Hutton, classe 1943, mentre, in occasione della Milano Fashion Week solca, per Bottega Veneta, la passerella, avvolta nel capo che l’ha resa icona di stile.

Lauren Hutton e Gigi Hadid per Bottega Veneta

Oh… non è recente quel che accade. Bisogna retrocedere fino al 2016, in tempi ‘non sospetti’, in cui la parola ‘positivo’ rivendicava la propria accezione naturale.

Come in un’immaginaria staffetta, incede a stretto contatto con Gigi Hadid. Lei di anni ne ha solo ventuno, eppure ha dimostrato di conoscere bene il fatto suo.

L’età acerba nulla ha lesinato alla consapevolezza di un’immagine perennemente sul pezzo. Sa come farsi inseguire, la super modella, mentre, per strada, gioca a tirare colpi di kung fu, presenzia alle prime degli eventi più cool, oppure scappa, circondata dai suoi bodyguard, destinazione Parigi.

L’altra no.”Se non fossi stata povera non avrei mai fatto la modella“, si giustifica. E c’è da crederle. Lei che, ancora analfabeta all’età di undici anni, ha abdicato al glamour del circo mediatico per dedicarsi alle tribù africane.

Tuttavia, l’indole libera non ha ostacolato una carriera nata, nemmeno a dirlo, per caso. Tornata a New York dopo aver conseguito la laurea in lettere presso il Newcomb College di New Orleans, l’ex coniglietta di Playboy inizia a lavorare come modella.

In breve, il suo volto invade le copertine delle riviste più prestigiose. Il salto di qualità è ad un passo e arriva sotto forma di annuncio. Sul New York Times viene pubblicato un articolo che vede la Maison Dior in cerca di un nuovo volto, in grado di rappresentarla.

Nessuna esperienza, misure non certo da capogiro, e quel suo sorriso imperfetto… eppure la scommessa è vinta.

Esquire, Harper Bazar… non c’è magazine che non la pretenda in prima pagina – venticinque volte su Vouge – record assoluto.

La cover girl dal piglio anticonvenzionale viene immortalata da Richard Avedon, Irving Penn, Henry Clarke… soprattutto, Diana Vreeland, editor di Vouge, la identifica come perfetta incarnazione dell’American Style.

Non ancora trentunenne, Hutton è firmataria di un contratto a sei cifre, timbrato Revlon, che le permette di guadagnare 400.000 dollari.

Nel 1968 Chanel la erge a simbolo del celeberrimo n°5, ed è nello stesso anno che debutta sul Grande Schermo.

Nel 1975 People sentenzia: “She’s got it all” – Lei ha tutto.

Non è ancora il tempo di American Gigolò, ma l’attrice, modella, scrittrice, imprenditrice, esploratrice, perfino attivista politica… offre di sé un ritratto poliedrico che, con l’avanzare dell’età, si radicalizza e si fortifica.

Ha sessantuno anni quando accetta di posare nuda per Big Magazine, tra i periodici più all’avanguardia del settore.

The beautiful persist’, recita l’articolo. Niente di più vero.

Quando, durante, l’intervista, le vengono chieste le motivazioni che l’hanno spinta ad accettare, dichiara: “A quarant’anni l’azienda cosmetica per cui lavoravo mi ha licenziata per una modella più giovane… Ho viaggiato in giro per il mondo, dall’Africa alla Micronesia, e per alcuni mesi ho vissuto con le tribù indigene… mi hanno insegnato a vedermi in un altro modo“.

La stessa libertà, che la convincerà a lanciare una personale linea di cosmetici rivolta alle donne non più giovani, ma ancora ricche di contenuti: Lauren Hutton’s Good Stuff, distribuita negli USA, ma anche in Europa e Sud America.

Bando al nero, nel guardaroba di chi la morte l’ha incrociata a più riprese, non ultima la volta in cui, nel 2000, un grave incidente in moto la alletta, facendole riportare una serie di fratture multiple e un polmone perforato.

Eccola, dicevamo, in trench e clutch rossa, proprio come quando, accanto a Richard Gere, bellissima e annoiata, introduceva un ancora esordiente Armani agli onori di un pubblico, che mai più avrebbe perso.

Sfila, per festeggiare i cinquant’anni di Bottega Veneta, ammantata della sua arma più potente, quel sorriso emozionato di chi sta ripercorrendo un passato che non rimpiange perché ha ancora tanto da dire; di chi nell’avere stile riconosce il coraggio di rimanere se stessi.

Effigie fuori dal tempo, sta lì ad ostentare che gli anni passano ma la bellezza è un’altra cosa. Con garbo, si annida in ciascuna di noi, a rammentarci come l’ardimentoso possa risultare semplice, come l’inverosimile sia invece possibile.

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