Manicure… ma quanta strada prima di arrivare fin qui

Manicure… ma quanta strada prima di arrivare fin qui

Nail Art. E, quando di unghie si tratta, non ci si può limitare al pensiero di una banale manicure. Qui si parla di creatività e colore. Pensate, l’hashtag #nails risulta pubblicato, su Instagram, più di 151 milioni di volte e chi è del mestiere è ormai considerato, alla stregua di una vera star. Frivolezze? Probabilmente, ma dal sapore lontano secoli. Quindi, tutto sommato, non così banale.

L’argomento, del resto, si è rivelato oggetto di studio persino per il New York Times che, in un recente articolo, ha messo in dubbio il futuro dei professionisti del settore, a causa del distanziamento sociale. D’altro canto, i Nails Salon sono stati messi al bando dallo stesso Boris Johnson, attività, al pari di parrucchieri e centri estetici, niente affatto idonee a rimanere aperte, in tempi di pandemia. Eppure, a discapito dell’apparenza, quest’antica – perché tale è – arte, racchiude in sé segreti e racconti. E’ la cultura che si reinterpreta, dalla Mesopotamia a i giorni nostri.

UN TUFFO NELLA STORIA

Manicure… ovvero, cura delle mani. E, del resto, il racconto delle attenzioni rivolte alle estremità del nostro corpo non ha tempo. Pare – e sottolineiamo pare – che lo smalto abbia fatto la sua prima comparsa in India, in prossimità dell’età del Bronzo. Fu in questo periodo che si prese atto delle proprietà dell’henné, polvere ricavata dalle foglie essiccate della medesima pianta, adoperate per tingere i tessuti, prima; poi i capelli. In seguito, anche braccia, mani e – ovviamente – unghie. Una pratica, allora, riservata non solo alle donne ma, piuttosto, a beneficio della classe abbiente, per meglio distinguersi, secondo l’identità sociale. Così, se il nero era riservato ai ceti più elevati, il verde era ad utilizzo di chi rimaneva.

Nel prosieguo del racconto, veniamo a scoprire che le prime formule attinenti allo smalto furono inventate in Cina. Mixavano, al loro interno, albume d’uovo, gelatina di pesce e gomma arabica. Poi allume – miscela di alluminio e potassio – e petali di fiori. Una trovata che, nel tempo, acquistò maggiore complessità, arricchita da un’allure lucida e brillante. Da parte sua, la Casa Imperiale, incentivata a distinguersi dal resto del popolo, volle impreziosire le varie tinte con polveri d’oro e d’argento, creando anche intarsi, fatti di pietre pregiate e fili metallici

Facendo leva su quanto ci giunge in eredità dall’Antico Egitto, il rosso, anche in base alla sua intensità, costituiva testimonianza di potere. Rosso rubino – ad esempio – era lo smalto indossato da Nefertiti, ottenuto, si narra, miscelando il composto con alcune gocce di sangue. Per Cleopatra, vincente era il rosso cremisi, mentre le Patrizie Romane erano solite – al pari nostro – cospargere le mani di oli essenziali e infusi profumati. E se nel Medioevo, il buio calò financo sulle unghie, il Rinascimento riaccese un’era di rinnovato fulgore.

In tempi più recenti, il primo smalto – inteso nell’accezione odierna – va fatto risalire al 1911, merito del marchio Cutex. Un prodotto liquido, pensato per la rimozione delle cuticole e lo sbiancamento delle unghie. Il successo nelle vendite convinse ben presto gli ideatori a ampliare il raggio d’azione. Si passò, perciò, ad una boccetta, dotata, a parte, di pennello.

Negli anni ’20, Michelle Menard, noto make up artist dell’epoca, ebbe l’intuizione di appellarsi alle lucenti colorazioni delle carrozzerie, che caratterizzavano le auto americane. Di qui, largo al rosso, al rosa… e a tutto quel che catturava luce sulle dita. Agli stessi anni, risale l’invenzione del lucido per unghie e la mood manicure, vale adire la mezzaluna, riproposta, poi, nel 2010,

Se, in successione, negli anni ’30 si fecero notare i fratelli Revlon che, coadiuvati dal loro chimico di fiducia, diedero il là ad un rivestimento opaco, antesignano del più moderno ‘coat‘, nel 1934, fu il dentista Maxwell Lappo a lanciare sul mercato i primi set di unghie finte, pensati per quante avevano il vizio di mordicchiarsi i polpastrelli.

Dunque, tra i ’40 e i ’50, si portavano lunghe e ‘a mandorla‘, laccate di rosso, finché, nel 1955, un altro dentista, Fred Slack, ebbe la genialata di aggiungere una sostanza acrilica, usata fino ad allora in ambito medico, in un preparato per incollare le unghie. Fu il via per ricostruzioni e allungamenti. Gli anni ’60 furono segnati, anche in questo caso, dalle nuance pastello mentre, nel 1970, l’americano Jeff Pick realizzò quella che oggi conosciamo come french manicure.

Mai sentito parlare di Squoval? Ebbene, la tecnica si impose negli anni ’80, mix tra i due tagli quadrato e ovale, dalle tonalità fluo. Alla medesima epoca risalgono le unghie press on, ovvero finte, già decorate, da applicare, tramite una colla specifica. Ancora, negli anni ’90 venne resa più sofisticata la texture dei gel. Per quanto riguarda le lunghezze, si andava dalle super corte, stile Gwen Stefani, alle iper-lunghe, alla Missy Elliott.

Tendenze più aggiornate provengono dallo street style e dall’Hip Hop. Adesivi, piercing… le mani si evidenziano nei modi più disparati, vera tavolozza, su cui cerare e ‘personalizzare’. Nel 2016 – tanto per dirne una – Katy Perry volle, attraverso la propria manicure, sostenere la candidatura di Hillary Clinton alla presidenza della casa Bianca. E lui? C’è n’è anche per Lui. Ora come allora, da quel che abbiam capito. Harry Styles, Achille Lauro, Fedez… ci dimostrano che, a ‘pittarsi le unghie’ non c’è nulla da vergognarsi. Che non rappresenta un atto di sfida, né di protesta. E’ solo il modo più diretto, secondo alcuni, per dichiarare la propria esistenza e farlo ad alta voce, vividi, come i colori che si imprimono addosso.

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