Novorossiya: così si cancella l’Ucraina
Il modo più rapido per annientare qualcosa… o qualcuno? Negarne l’esistenza. Più che gli spari può l’indifferenza. Più che le urla, può il silenzio.
Ecco, allora, che al nemico si toglie persino la legittimità del suo ruolo. Lo si depaupera di un perché. Si rade al suolo non tanto il territorio fisico su cui risiede, ma se ne rimuove – più sottilmente – il ricordo. Ogni idea, che ad esso possa ricondurre.
L’hotel Ucraina? Non è più qui
Così, di quello che un tempo, in quel di Mosca, rappresentava l’albergo Ucraina, oggi sono state eliminate fintanto le indicazioni. La svolta dal ponte Novoarbatsky, adesso, conduce… chissà dove. O meglio, da qualche giorno, al posto del cartello che segnalava la presenza dello stabile si troverebbe un pannello, che fornisce indicazioni sul parcheggio.
206 metri di hotel, ultimato nel ’57 e battezzato da Nikita Krusciov, privato di quella che è la sua più intima essenza, al fine di non ‘disturbare’. Non creare imbarazzo – secondo quanto si racconta – alle eminenti personalità locali e neppure – ovvio – al presidente Vladimir Putin.
Quello che attualmente indossa il titolo di Radisson Collection Hotel Moscow non è nuovo a questo genere di svestizioni. Era già successo. Tuttavia, ciò che a tratti induce allo scherno, a tratti invita a riflettere è la smaccata e irriducibile censura, nei confronti di quanto possa ricondurre la mente all’avversario. La parola Ucraina si è resa impronunciabile, tanto che, sui Social, si starebbe addirittura ironizzando sull’episodio, facendo leva sulla frustrazione del Primo Ministro Russo, destinato a scagliarsi sull’edificio, non potendo fare altrimenti nei riguardi del Paese rivale.
Cancel culture
Eccola, l’accezione con cui vengono sottolineate le azioni, atte a rimuovere, obnubilare, cancellare – appunto – l’altro. A tal proposito, si considera a rischio il monumento al poeta Taras Shevshenko e, in alcuni ambienti, si starebbe già riadottando il nome di Novorossiya, per alcuni territori dell’Ucraina.
Si parla di interferenze nei futuri manuali scolastici. Per la precisione – secondo il media indipendente MediaZona – alla Casa editrice Prosveschenie sarebbe stato chiesto di menzionare l’Ucraina il meno possibile. Ed anche le parti inerenti alla Rus’ di Kiev sarebbero state ridotte.
Si dice – pure – che la città di Murmansk sia arrivata a cambiare i colori del proprio stemma, blu e giallo; mentre a Yakutsk avrebbero addirittura smontato gli spalti dello stadio, sempre per via delle tinte.
Ancora, a Mosca, un passante sarebbe stato arrestato perché sorpreso con indosso un paio di scarpe blu e gialle; mentre una donna sarebbe finita dietro le sbarre per 15 giorni, per aver postato lo stemma ucraino sul proprio blog. Si cita l’arresto del 61enne Mikhail Kavun, in manette, con l’accusa di aver finanziato l’organizzazione estremista ucraina Right Sector.
Si vocifera. Si insinua. Si sottintende… come suole in tempo di intrighi. Si lascia che sia, peggio. Si evita di reagire: per paura, per torpore, per scansare eventuali problemi o ripercussioni e intanto qualcosa accade, di nuovo. Qualcosa di disturbante e storto, che tace, ma rimesta, nel profondo e, intanto, urtica le coscienze.
Si imbavaglia il domani, travestendolo del sapore della necessità. Si tollera l’intollerabile.
Zitti e senza meta, si procede. Non è questo già morire?
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