Blu, come il granchio che tutti amano
È ricco di proteine e, in più, contiene pochi grassi e calorie. Lo si trova nei supermercati come nelle pescherie ma è ricercato anche dagli chef, che lo propongono nei personali menù, per gustarne la polpa, cotta a vapore in insalata o per condire gli spaghetti.
Il tutto, traducibile nel Granchio blu (Callinectes sapidus), il crostaceo, specie aliena nel Mediterraneo, che pare, in fatto di tavola, aver stregato proprio tutti. Di fatto, va a ruba, anche solo per la curiosità di assaggiarlo.
Razza originaria delle coste orientali degli Stati Uniti, distribuita dal Canada all’Argentina, è assai probabile sia giunta in Italia attraverso le acque di zavorra, che permettono alle navi non a pieno carico di mantenere il loro assetto, in fase di navigazione. Una volta a destinazione, queste ultime scaricano l’acqua e la vita marina che le ha accompagnate nel viaggio.
Va detto che, nei Paesi in cui il crostaceo è diffuso, il suo consumo è normale. Stando, anzi, al Dipartimento dell’Agricoltura americano, 100 grammi di parte edibile del granchio blu equivalgono ad 87 kcal, 18,1 gr. di proteine, 1,08 di grassi totali e tracce di carboidrati. “Dopo i gamberi e le aragoste, i granchi sono il gruppo di crostacei più importante per la pesca, nel mondo“, confermano gli esperti.
Dal sapore delicato e persistente, al palato se ne percepisce la carne più magra, rispetto persino a quella delle mazzancolle. Possiede un alto valore nutritivo e può soddisfare più necessità – lo accennavamo – complice la scarsità di calorie. Del resto, tutti i granchi hanno una quota lipidica inferiore al 5%. Si caratterizza, poi, al pari dei suoi simili, per la presenza di acidi grassi polinsaturi, noti per il loro potere antinfiammatorio, antiossidante, antipertensivo e ipolipidemizzante.
“È, comunque, importante fare una distinzione, a proposito della sua polpa: quella che si trova nelle chele e nel petto è la parte più nobile“, precisa chi ne sa. Difatti, la maggior quantità di colesterolo è presente nella testa, come accade per i gamberi, e nel fegato che, tuttavia, scucchiato e messo in padella a soffriggere, costituisce un’ottima base, per insaporire pasta e risotti. Chele e ventre, invece, sono blu per la presenza di due pigmenti, benché uno si decomponga in cottura, venendo meno al colore tipico, che tanto affascina.
Importante, anche la presenza di vitamine e minerali: per 100 grammi di parte edibile corrispondono vitamina C (3 mg), vitamina B3 (2,7 mg), vitamina B1 (0,08 mg), vitamina A (5 UI ossia Unità Internazionale), calcio (89 mg), fosforo (229 mg), potassio (329 mg), sodio (293 mg), zinco (3,54 mg), selenio (37,4 mg). “Sfatiamo un mito che sta girando sul web: si possono mangiare sia i maschi, sia le femmine“, raccomandano gli studiosi. L’unica differenza sta nei valori nutrizionali, più scarsi, se si consuma “un granchio femmina che sta dedicando le sue energie al carico di uova (ne depone fino a 8 milioni per covata e possono essere mangiate) che porta in grembo“.
Non solo. Ciò che rimane del crostaceo, dopo averne consumato la polpa, può essere recuperato, in chiave sostenibile e zero spreco. In Tunisia, ad esempio, i resti vengono lavorati in un essiccatore, frantumati e, la polvere ottenuta, sfruttata come fertilizzante, in agricoltura. Un’alternativa, è l’estrazione, dal carapace, di Chitina, sostanza che rende il guscio duro. Un polisaccaride, al pari della cellulosa, che potrebbe trovare impiego nei settori tessile, cosmetico e farmaceutico.
Si evidenzia, inoltre, come siano diverse le specie aliene, dall’impatto ecologico altrettanto importante. Tra queste, le Conchiglie dell’Arca, un tempo conosciute con il nome di Scafarca, specie bivalvi presenti in quantità abnormi nel mar Adriatico.
A dire il vero, nella Penisola, le prime segnalazioni di granchio blu risalgono al 1949, ma è solo da una decina di anni che la specie ha cominciato a diffondersi. Al suo interno, il cannibalismo è un fenomeno comune. L’impiego dei suddetti crostacei come nuove risorse di pesca è la strategia adottata da molti Paesi del Mediterraneo, per gestire la problematica sul lungo termine. Al fine di supportarla, i ricercatori del Cnr hanno predisposto un breve questionario (qui il link) rivolto a tutti i cittadini, anche a quelli che non hanno mai assaggiato il granchio.
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