Mikachan: respiro d’Oriente nella patria dei Gladiatori
In principio era… il Giappone, anche se si trattava – anzi, si tratta, di un Oriente nostrano. Meglio ancora, ‘de Noantri‘. Tant’è, l’izakaya Mikachan si trova nella Capitale, zona Infernetto e si presenta come miglior ristorante a tema, con una lista d’attesa – udite, udite – lunga 6 mesi.
Un angolo di Sol Levante, governato dalla sushi chef Micaela Giambanco, ultra premiata e con un amore smodato per i Paesi Asiatici. Così, a soli 19 anni, si era già spinta fino a Kurume, per studiare karate ed è proprio lì, che è rimasta conquistata dalle tradizioni culinarie locali.
“Ci sono rimasta un anno e mezzo e, per mantenermi, lavoravo in un ristorante. Non cucinavo — prima di farlo si deve dimostrare una certa esperienza — ma ho rubato tutto con gli occhi. Ero assistente alla preparazione delle colazioni“. Al ritorno, immediata, l’iscrizione ad una scuola di storia, letteratura e lingua Giapponese e l’interesse, accresciuto, per la cucina. Di qui, l’apprendistato presso Himasei, primo ristorante ‘dedicato’ della città, aperto, dal ’74.
“All’epoca, avevano un piccolo bancone, con un angolo sushi da soli 8 posti. Ho osservato il più possibile lo chef che lavorava al mio fianco. Per la prima volta, ho conosciuto il sushi e le sue ritualità“. Poi, a seguire, corsi e tirocini per approfondire i diversi piatti di pesce e carne. E, piano piano, la comprensione di una filosofia, retta sull’equilibrio e l’armonia.
L’allenamento all’ascolto ha, infine, fatto il resto, portando con sé nuove occasioni lavorative. le prime, come consulente per l’apertura di alcuni locali. Poi, nel 2018, la partecipazione ai Mondiali di Sushi e il rarissimo e impegnativo titolo di Kuroobi. “Era l‘anno giusto, per un progetto che fosse solo il mio“. Dunque, l’idea, che si configura in una location dall’alta riconoscibilità. Non esiste traccia, all’interno, di boiserie scura, pavimenti o luci soffuse, bensì arredi in legno chiaro, scaffali stracolmi di stoviglie, bottiglie e un vasto assortimento di oggettini kawaii, per mandare in estasi gli appassionati.
La cucina è ‘a vista’ e si carica, pure, di proposte street food. L’aria, spiega la stessa ideatrice, è quella di un vera izakaya, paragonabile, per intenti, ad una più comune Osteria.
Il sushi è previsto, sì, ma nelle varianti meno sofisticate; mentre protagonista rimane tutta una serie di portate, che accompagnano sake e birra. Si va dai donburi (riso, con vari ingredienti) con tonkatsudon (cotoletta, 17€) o ebicurrydon (gamberi e crema al curry, 17€) agli yakisoba (noodles di grano, 15-18€); dal richiestissimo ramen (17-18€) a soba e udon (noodles di grano saraceno o duro in brodo, 13-22€).
Per un totale, sia chiaro, di soli – privilegiati – 18 coperti. E, se all’inizio era sufficiente presentarsi, per potersi accomodare, con il tempo “le prenotazioni hanno – letteralmente – cominciato a fioccare“, saturando l’agenda, per un periodo che, spesso, arriva a superare la metà dell’anno.
All’apertura, le cene, dal mercoledì alla domenica, vanno sold out in un batter di ciglia. “Preferiamo offrire un servizio impeccabile, curando la richieste di ogni ospite“, rimane – comunque – la risposta, a chi paventa un aumento del numero dei posti. Niente doppi turni, qui, affinché ci si possa godere l’esperienza, senza fretta.
Le novità, da settembre, si declinano omakase, vale a dire menù a sorpresa, in una sequela studiata, che progredisce poco alla volta, per una serata “cucita addosso ai commensali“. Solo 6 sedute al bancone, ma è già tanto. In via Torcegno, 39.
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