Sephora Kids… e si finisce di crescere ‘sane’!

Sephora Kids… e si finisce di crescere ‘sane’!

Sephora Kids: è questo il nome, già di per sé emblematico, di un fenomeno, stando ai dati, in continua espansione e che ha fortemente allarmato gli esperti di tutto il mondo. Piattaforme come Instagram o TikTok si rivelano ancora una volta protagoniste, secondo dermatologi e psicologici, di qualcosa, insomma, ‘che non va’. Bambine – tra gli 8 e i 13 anni – devotamente dedite alla beauty routine. Complesso ed erto numero di passaggi, spesso, non attenzionato neppure da chi, in effetti, è più avanti con gli anni. Compulsive acquirenti di prodotti di bellezza (da qui il loro soprannome, in riferimento ad una tra le tante Griffe) e, attraverso i Social, fanno bella mostra del loro prezioso ‘tesoro‘ e di come adoperarlo al meglio.

Del resto, le Aziende, dal canto loro, hanno fiutato l’affare e non sembrano porsi troppi scrupoli. Così, i prodotti dedicati si fanno notare per il packaging accattivante, tra colori fluo, font coinvolgenti e simpatici accessori (che fanno sempre scena).

Fin qui, il resoconto di quanto sta accadendo ma c’è pure – fortunatamente – chi storce il naso. In Svezia, ad esempio, una catena di farmacie ha deciso di non vendere più belletti ai minori di 15 anni.

Vi starete, a questo punto , forse, domandando: ‘Beh, ma in fondo che male c’è?’

Partiamo dai fatti, per fornire una risposta adeguata. Creme e trucchi anti age, innanzi tutto, sono pensati – financo nella composizione, per persone adulte, che presentino pelle ed esigenze evidentemente diverse da chi non ha nemmeno superato la maggiore età. Attenuare le rughe e/o le borse, restituire tonicità all’incarnato, illuminarlo e quant’altro sono, insomma, tutti argomenti fisiologicamente lontani dal pubblico di cui sopra.

Solo questo? Vero è che si tratta di specifici dannosi, se non utilizzati dal giusto target di riferimento. Ci si mette a rischio acne, sfoghi cutanei e via dicendo. Retinolo, peptidi e vitamina C possono- se mal gestiti – rivelarsi dannosi; nella migliore delle ipotesi inutili.

Nota ‘curiosa’, potenza degli stereotipi, la smania fin qui descritta si declina prettamente ‘in rosa’, confermando quanta strada ci sia ancora da fare e mettendo l’accento sul livello di iper-sessualizzazione femminile, che obbliga le più giovani a conformarsi a standard che poco o nulla attengono alla loro condizione.

Poi – e non arrivano in seconda istanza – ci sono i problemi psicologici. Introiettare fin dall’adolescenza, se non dall’infanzia, imperativi di un’estetica conformata, standardizzata, irraggiungibile, in termini di modello, non può che condurre a disturbi dell’alimentazione, relazionali, di autostima etc.

Merito/colpa del Web, che non perde occasione per motivare, incentivare, guidare le giovani menti in tal senso.

Nei ‘Get ready with me’, ad esempio, le influencer mostrano i vari passaggi beauty, compresi quelli relativi alle routine di pulizia mattutine e serali e i video vengono in seguito replicati. Un contributo, sia pur sbagliato, lo forniscono anche i Vip, che postano contenuti riguardanti i loro bambini, (già) alle prese con i cosmetici. Scrub, fluidi, sieri, maschere e unguenti. Texture, punti neri e (presunte) lucidità… tutto viene analizzato, preso in considerazione, schedato, finendo per sfociare in una vera e propria dipendenza. Un’ossessione, verso un ideale di bellezza stereotipato ed espressamente ‘falso’.

Di qui, il ruolo degli adulti. I genitori giocano un ruolo fondamentale, ma spesso è proprio questo il tassello mancante. Chi dovrebbe frenare, spinge, incentiva, sfrutta, persino.

Nulla di davvero nuovo, se si va con la mente ai concorsi di bellezza per bambine. Vero, accade per lo più in America, ma è un business, pur in misura più contenuta, presente anche da noi. Circolano miliardi, d’altronde, tra store e saloni di bellezza dedicati. tutto, a discapito delle inconsapevoli e poco preparate giovanissime.

Un caso su tutti? Quello che riguarda Kerry Campbell, che ha iniettato botox su sua figlia di 8 anni, per contrastare rughe ovviamente inesistenti. La bimba, plagiata, diceva che le punturine le facevano male ma che era un male necessario, per apparire più bella. Storia, finita con l’affidamento della piccola ad un’altra famiglia.

Vero. Anche ai tempi di noi adulte girava il detto: “chi bella vuole apparire un poco deve soffrire“, ma esistevano comunque una serie di limiti. Di garanzie. Eravamo tutelati da mamma e papà e, se necessario, redarguiti. Eravamo meno schiavi/e, più in generale, di qualcosa di talmente condizionante e crudele da non permetterci più di essere, semplicemente, quel che eravamo: noi stesse.

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