Tutta colpa… o merito, del Re

Tutta colpa… o merito, del Re

Le festività si sono appena concluse. Ce le siamo lasciate alle spalle, forse senza neppure troppa amarezza e, di sicuro, qualcosina ci hanno lasciato. Forse un pizzico di rimpianto, per i bei tempi in cui potevamo ritrovarci tutti insieme all’aperto; forse qualche progetto rimandato; forse, anche, qualche chiletto in più che, tanto, fermi a casa, che si può fare se non darsi alla cucina?

E poi ci sono gli ‘avanzi’. Magari la Colomba, il Casatiello, la Pastiera… oppure le Uova e, con il cioccolato, in particolare, si sa, le idee di riciclo non mancano mai. Tuttavia, se vi chiedessero di più, se vi domandassero di raccontare le origini di uno tra i Classici delle tavole di Pasqua, cosa rispondereste?

Facciamo un passo indietro. Anzi… più di uno.

Bisogna risalire, infatti, all’epoca di Luigi XIV per rintracciare l’ideatore dell’uovo che, tutt’oggi, arreda persino i pranzi più blasonati. Fu commissionato, infatti, dal Re di Francia, in ossequio a una lunga tradizione che, da sempre, vede associata la forma elicoidale a un ideale di perfezione e rinascita. Ad eseguirlo, per la prima volta, fu François Vatel, contrôleur général de la Bouche. In pratica, colui il quale deteneva la responsabilità dei banchetti più sontuosi delle Reggia. Il noeofita di piatti raffinatissimi; un Bottura ante-litteram, per intenderci, capace di ideare il meglio che si potesse reperire nel Regno.

Ma se la forma, sdoganata ormai ovunque, è merito dei desideri di Sua Maestà, la tradizione di regalare uova in tempo di Festa si determina ancora più antica. Retrocediamo, dunque, ulteriormente, e andiamo a sbirciare tra le credenze degli Egizi, per dirne una, che identificavano nell’uovo il convergere dei 4 elementi primari: terra, aria, acqua, fuoco. Tra i pagani, era considerato l’emblema del ricongiungimento tra cielo e terra e poi c’è la leggenda, che lo vuole in sintonia con l’iconografia dell’Araba Fenice. Prima di morire, quest’ultima preparava un nido, dove si adagiava, lasciandosi incenerire dai raggi del Sole. Da quelle stesse ceneri, l’Uccello di Fuoco si sarebbe apprestato a nuova vita.

Dalla mitologia al Cristianesimo, in cui il movimento dell’uovo che rotola prese a simboleggiare la pietra che viene scalzata via dal sepolcro di Gesù, risorto. E se nel Medioevo, in Germania, era consuetudine, tra i meno abbienti, farne dono in segno beneaugurante, conservate – le uova bollite – in un involucro di foglie e fiori. Nel 1800, tra i nobili e gli aristocratici, se ne magnificò l’ideale, prendendo a fabbricarne in materiali di inestimabile valore.

Gli esemplari più rinomati e noti, rimangono, tuttora, quelli frutto del talento di Peter Carl Fabergé. Incaricato dallo zar Alessandro III di preparare per la zarina Maria Fëdorovna l’uovo più bello che si fosse mai visto, il gioielliere, completamente svincolato nell’esecuzione, dovette attenersi ad un’unica raccomandazione. Vale a dire che, all’interno, il prezioso oggetto contenesse una sorpresa.

Nel 1887 il dono era pronto e si presentava come uno scrigno, sorta di Matrioska in platino smaltato di bianco, con all’interno un tuorlo tutto d’oro, contente – a sua volta – una gallinella colorata d’oro e smalti, con gli occhi di rubino. Quest’ultima, racchiudeva una copia in miniatura della corona imperiale, con dentro un piccolo rubino, a forma d’uovo.

Il presente piacque talmente tanto alla Zarina, che il rito ebbe a ripetersi anche con il successivo Zar, Nicola II, che a lungo adottò l’usanza di ordinare all’orafo di Corte due uova ogni anno, una per la madre e una per la moglie Aleksandra.

Un esteso viaggio, dunque, quello intrapreso dalla cioccolata, che fa capolino, nelle nostre abitazioni, a più riprese, ma continua a presentarsi al cospetto di chi la riceve come simbolo di inaspettata sorpresa. La testimonianza che non tutto quel che ci resta alle spalle è da scartare. Qui, da scartare, d’altronde, c’è solo la confezione, per poter finalmente scoprire il misterioso contenuto del regalo appena ricevuto….

Le uova di Pasqua sanno rivelarsi anche l’ingrediente perfetto per torte, crostate e plumcake. Sentite un po’ questa…

BROWNIES… DA RICICLO

Il procedimento è molto semplice, gli ingredienti facilmente reperibili. Non resta, quindi, che mettervi all’opera.

INGREDIENTI:

  • 175 gr di cioccolato fondente
  • 175 gr di burro
  • 175 gr di zucchero
  • 3 uova
  • 150 gr di farina
  • 1 bustina di lievito
  • 1 baccello di vaniglia
  • 140 gr di gherigli di noce
  • 1 pizzico di sale

PERPARAZIONE:

Sciogliete a bagnomaria il cioccolato, insieme al burro, e fate raffreddare il composto. Nel frattempo, montate le uova con lo zucchero e il sale, mescolate. Quindi, incorporate il cioccolato.

Aggiungete la farina setacciata con il lievito, poco alla volta. Poi, i semi del baccello di vaniglia. Spelate i gherigli, tritateli e uniteli al resto degli ingredienti, tenendone da parte qualcuno.

Distribuite l’impasto in una teglia rivestita di carta da forno, fino a conferirgli uno spessore di circa 2 cm. Infornate a 180°, per 35 minuti circa. Sfornate, lasciate raffreddare e tagliate a quadrotti. Spolverizzate, di seguito, questi ultimi, con lo zucchero a velo.

Ottimi, anche nella versione con farina gluten free.

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