Merope’s Tales (capitolo 16)
Mettiamola così: “Non stiamo producendo spettacoli per la scuola domenicale!” Eh, certo che no! Sapete di chi sono queste parole? Isidore Herk. Chi? Vi starete domandando. Non abbiate fretta, che qui la faccenda è piuttosto complicata… e voluminosa.

Ma veniamo a noi. Non penserete mica che vi abbandoni, senza farvi saziare – almeno un pochino – delle curve mozzafiato di una qualche graziosa donzella. Ebbene, la mora, la rossa, poi, di nuovo la mora… in un alternarsi di appetitosi frutti di bosco. Alla stregua di una strategica partita – e guardate che non c’è termine che sia scelto a caso – tappeto verde intonso, variano, invece, le carte da giocare.
Dunque, quelle che mi ritrovo tra le mani proprio adesso riguardano le sorti di una giovinetta, arruolata tra le fila dei fratelli Minsky. ‘Ah, quei Minsky; ne sapevano davvero una più del Diavolo!‘. Vi dicevo, tra le performer di primo piano spiccava – appunto – una fanciulla, dalle chiome color dell’ebano. Vanto, tra l’altro, pure di noi Italiani, giacché tali erano le sue origini.

Ann, in effetti, era nata nel Connecticut e, precisamente, ad Hartford, tra le città – pensate – più antiche degli Sati Uniti. Sede, tra l’altro, della Mark Twain House, in cui il celebre autore ebbe modo di mettere su carta le sue opere più rinomate. Scriveva, nel 1868: “Di tutte le città che ho avuto la fortuna di visitare, questa non ha eguali“.
Bella, come bella era Lei, burrosa brunetta – classe 1909 – sorella di uno stuolo (folto) di 12, tra maschi e femmine. Lo sguardo profondo, a caratterizzarla, ed il successo assicurato, benché papà ma in particolar modo mamma – il primo se ne andò via, quando la nostra era ancora in tenera età – non fossero poi così d’accordo. A dimostrarlo, il fatto che, da Coiro, il cognome, ad un certo punto, si era tradotto in Corio, secondo i parametri che oggi conosciamo. Escamotage, per salvaguardare la ‘dignità familiare’, assumerne – in un certo qual modo – le distanze e, insieme, sottomettersi agli assai più esigenti parametri Teatrali.

Fatto sta, già agli albori degli anni ’30 non c’era studente di Harward che potesse ritenersi tale, senza prima aver visto un suo spettacolo. La laurea? Manco a sognarsela! Insomma, matricole e affini erano decisamente ben accetti in quel dell’Old Howard Teatre di Boston, dove l’attrazione numero uno dell’ennesimo circuito Burlesque era solita esibirsi.
Una ‘fagottata di roba’, letteralmente, che faceva puntualmente sfoggio di sé, calamitando l’attenzione – soprattutto – di camionisti, muratori e studenti, nel pieno del loro subbuglio ormonale.

Tutto chiaro, fin qui? Allora, facciamo un breve passo a ritroso. La Mutual Burlesque Association – o Mutual Wheel – dove la nostra protagonista esordì nel 1925 – era già attiva da tre anni e vi rimase, fino al 1931, a dispetto e con buona pace – pure – del sindaco La Guardia, perennemente sul piede di guerra. Era, quest’ultima, gestita da un tale: Isidore Herk (vi suggerisce qualcosa il nome?), manager, prima ancora e meglio che produttore. Sappiate, a tal proposito, che fu proprio l’esibizione allestita a suo carico presso il Gaiety Teatre, datata 1941, l’ultima del genere Burlesque, che si tenne a Broadway. Sua, anche l’idea del Pacemaker. A cosa mi riferisco? Tanto per rimanere in tema, si trattava, in partica, di una partita di Strip Poker, giocata… direttamente sul palco.

Solo per riportarvi qualche esempio e presentarvi più a fondo il personaggio, nel suo eloquio funebre,
Variety così scrive di Herk: “Con la stagione iniziale dell’MBA, Herk ha scoperto che i fan del Burlesque avevano ancora fame di spettacoli ruvidi. Così, ha accontentato il pubblico infarcendoli di ammiccamenti e spogliarelli, maliziosi vedo-non-vedo e battute salaci sugli addii al celibato. Sebbene Herk avesse imposto comunque un limite alle oscenità, produttori e comici in tour ne hanno tenuto ben poco conto. Tutti, hanno fatto un sacco di soldi“. Amara considerazione, forse ma indiscutibilmente autentica.
Chiara fotografia dei tempi di allora e della filosofia con cui si approcciava al mondo – neanche troppo patinato – di lustrini e pailettes, di gran lunga più crudo di quel che si possa adesso immaginare. E, se l’ispirazione la fornivano le Ziegfield Follies, i ritmi si mantenevano serrati; mentre scenografie, coreografie, costumi… si mostravano apertamente osé. Mutual “inquinava la morale pubblica“, stando ad alcuni? Herk lo difendeva, in tutta risposta, come il “jazz dell’intrattenimento americano“, ritrovo per “passatempi puliti, rivolti alla classe operaia“. Momenti di innocente svago, insomma, fino almeno a quando i corpi – merito o colpa dei soliti Minsky – non presero a muoversi.

“La maggior parte delle persone può immaginare che una compagnia di Burlesque sia composta solo da poche spogliarelliste, un paio di comici e un uomo etero. Tuttavia, ai tempi del Mutual Wheel, una compagnia di Burlesque era grande quanto – se non addirittura più grande – della maggior parte dei Musical di Broadway, in tournée oggi. Il tipico team dell’epoca? Una star dello striptease; una prima donna; una soubrette; una donna parlante; un gruppo di ballo composito, maschile e femminile; due comici; un uomo etero – e non date tutto questo per scontato – un giovane cantante; dodici o quattordici ragazze per il coro; un direttore d’orchestra; tre addetti alle scene e un assortimento di gatti, cani, scimmie etc. Gli animali domestici degli attori – ovvio! – In altre parole, un minimo di 26 persone, più tutto il guardaroba, le scenografie e gli oggetti di scena“.

Sapete chi ci sta descrivendo, nel dettaglio, le figure chiave dell’allegra e disinvolta brigata? La confessione giunge direttamente per bocca di Ann che, nel suo libro di memorie: This Was Burlesque ha voluto ricordare e celebrare, senza mezzi termini, i suoi anni di gloria.
Una Venere, dai Mediterranei attributi: seno abbondante, labbra carnose… a cosa le sarebbe servito parlare? Le bastava camminare, per ottenere l’effetto desiderato. Volgare? Magari no ma, se non altro e come ha voluto sottolineare qualcuno: “a presa rapida!“. Una, che l’arte del teasing ce l’aveva nel sangue, capace di intrattenere, peraltro, anche attraverso il canto e dotata di una discreta verve comica. Al suo fianco, del resto, avevano lavorato, in qualche occasione, Bert Lahr – che in seguito avrebbe prestato il volto al leone codardo ne Il mago di Oz – e persino il duo Abbott&Costello (Gianni e Pinotto, per capirci).

Vi raccontavo che aprir bocca, in fin dei conti, le sarebbe stato superfluo, eppure la moretta non disdegnava di condividere, con i suoi calorosi spettatori, l’esuberanza e la brillantezza di un carattere estemporaneo, genuino, pronto a donarsi dall’alto del palco, come quando era in contatto con la stampa.
Burlesque, che voleva significare “Commedia, Musical, belle ragazze…”, ma anche, per sua stessa detta: “Gomma da masticare, battere il tempo con i piedi… Insomma, il genere di cose, per cui si può lasciare a casa il cervello, per un po’.” Come a dire: ‘Testa alta e radici, ben piantate a terra‘, onde evitare di inciampare – poi – e di farsi – li sì – sul serio male. Cosciente… e previdente.

Così, abiti – scarsi e succinti – addosso, giustificati dalle location dal sapore spesso esotico, nella sua seconda esistenza – se in tal modo mi concedete credito di definirla – Ann decise di prestarsi; anzi, di prestare le sue floride grazie a tutta una serie di film, rapidi nella lavorazione e piuttosto modesti nei risultati, che però le fruttarono una cospicua fetta di guadagni.

“Quelle pellicole hanno fatto un sacco di soldi. E anche io ne ho fatti. Ho chiesto 10.000 dollari a settimana e una percentuale sui film e l’ho ottenuta. Ma non sapevo che li avrebbero girati in sei giorni. I produttori non volevano che fossero buoni, volevano solo… che uscissero il martedì!”. La regina dei Quickies aveva definitivamente tracciato la sua strada, dove, per tale, si intende un certo tipo di pellicole girate in tutta velocità e male ma sta a significare, nel contempo, il termine, ‘sveltina’. Compresa, l’antifona?

Jungle Siren, Sarong Girl, Swamp Woman… giusto per enunciarvi qualche titolo. La pretendevano così, sia chi il ‘prodotto’ lo vendeva, sia chi, in un secondo momento, ne usufruiva. Bramosi, tutti, di vederla seminuda sullo schermo, avvolta da poco, o nulla, carnosa e muliebre e provocante, come sapeva essere, senza eccessivo sforzo.
Strano – a rifletterci bene – o forse no – nelle poche occasioni in cui le fu concesso di dar voce ad un talento meno esplicito e più sofisticato, Ann non fece affatto brutta figura, anzi. Attrice, nei panni di Meggie Pollitt in La gatta sul tetto che scotta, non si mostrò da meno di Elizabeth Taylor che, più o meno nel medesimo periodo, portava l’opera di Tenneessee Williams in vetta alle classifiche cinematografiche. Chissà quanto se ne sarebbe mostrato fiero l’autore!
Tant’è. Sapete quando una serie di circostanze fortuite conduce, alfine, a ‘qualcosa di buono’? Ebbene, fu questo il caso. Nel senso che l’interpretazione le valse l’incontro – destinato a divenire sodalizio – con Michael Iannucci, giovane produttore teatrale, letteralmente folgorato dall’avvenenza e dallo stile di Lei… tanto da proporle, nell’immediato, di scrivere, interpretare e dirigere in prima persona uno Show, che ne ripercorresse gesta e carriera.

Ve lo accenno, ma armata di discrezione: in verità, Iannucci divenne, presto, il suo terzo marito, ma poco importa. Più conta, invece, che il lavoro, partito in sordina e dal budget ridotto, a breve avrebbe regalato enormi soddisfazioni. This was Burlesque, esattamente come l’effige del libro di cui vi parlavo in precedenza. Prima vera ‘operazione nostalgica’, nei confronti di un mondo che cominciava – in quel dei ’60 – a percepirsi lontano – anche se non ancora del tutto – e poco attinente alle nuove esigenze e pruderie di anni in cui, di lì a poco, si sarebbe sdoganata… la qualsiasi.

Faccia tosta – che sempre serve, in circostanze del genere – e tanta grinta, pertanto, il Recital rimase in cartellone per circa trenta anni, ospitato dai teatri di mezza America e sbaragliando persino un altro super classico tra i revival: Sugar Babies, portato in scena da Mickey Rooney e Ann Miller, nel 1979. Ad ottant’anni suonati, Corio catturava persino la curiosità della neonata HBO, che la registrava in uno special televisivo, che le frutterà milioni di dollari e si concluderà con una trionfale tappa, in Florida. Siamo nel 1991.
Divulgatrice, Ann, a tutto tordo. Pin-up volontaria per la rivista YANK, durante il Secondo Conflitto Mondiale; in visita sulla USS Yorktown, una tra le 24 portaerei, capitale della Marina degli Stati Uniti; ospite persino di Johnny Carson e del suo The Tonight Show.

Prima ancora, è possibile voltare lo sguardo al disco, con tanto di libretto allegato, pubblicato nel 1962: How to strip for your husband – Come spogliarsi per tuo marito. Rappresentava, quest’ultimo, una sorta di vademecum domestico, in sottofondo le musiche di Sonny Lester, composito di consigli. Semplici, sintetici ma che evidenziavano una competenza, raggiunta in seguito ad un’esperienza maturata nel tempo.

“Non siamo mai volgari e più della metà del nostro pubblico sono proprio le donne. Loro ci amano. E anche i bambini“. Convinzione mirata, assunta in base ad un vissuto proteso verso l’espansione di un concetto – quello del Burlesque – che non intendeva aggredire, bensì divertire, coccolare, ammiccare – secondo le regole – a chiunque avesse voluto farsi parte di un tutto, più ampio e significativo.
Traghettatrice, dal suggestivo passato oramai sulla via del tramonto all’indirizzo di ri-nascita, riscrittura ed esordio di un futuro, di cui già si andava percependo il profumo. Ecco, Ann indossava lo stesso profumo. Era sicura, bellissima, libera e avvolgente, come solo osa essere una donna, quando è forte di se stessa…
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