Ripeschiamo dalla tradizione trevigiana: Sopa Coada e…

Ripeschiamo dalla tradizione trevigiana: Sopa Coada e…

Probabilmente, non tutti sono al corrente di questa ricetta, rubata direttamente dalle abitudini culinarie più antiche. Usanze, appartenute ai nostri avi che, per anni e tuttora, continuano a caratterizzare le diverse regioni dello Stivale.

Ecco, allora che, tra queste, si annovera, pure, la Sópa coàda (zuppa covata), pietanza tipica della tavola trevigiana.

Un pasticcio di piccione, in pratica, dalla consistenza piuttosto asciutta, tanto da accompagnarlo, talvolta, con una tazza di brodo bollente, da consumare a parte o da versare sopra.

La ricetta (di cui, tuttavia, esistono numerose varianti – tipica è, a tal proposito, la rilettura che se ne fa a Motta di Livenza, dove vengono impiegate carni di pollastra) prevede di alternare, in una teglia, strati di pane raffermo intriso di brodo ad altri, di carne di piccione disossata, stufata e ridotta in pezzetti. Il tutto viene poi trasferito in forno, per un paio d’ore.

Abbinata, ad esempio, ad un Piave merlot rappresenta la perfetta risoluzione per il pranzo.

Già, ma perché coàda?

Secondo alcuni, il termine si riferirebbe al protratto tempo di cottura, sino a quattro o cinque ore. Altri, volendogli attribuire l’accezione di nascosta, sono convinti si alluda alla carne, sepolta sotto una patina di pane.

In quanto all’origine, poi, non è del tutto chiara, giacché i primi riferimenti, riscontrabili nelle vecchie liste delle vivande servite nelle osterie di Treviso, compaiono solo dopo l’Unità d’Italia.

Sappiamo per certo che la preparazione di zuppe a base di piccione era assai in uso nel Rinascimento. Senza escludere un collegamento con la suppa cuata, una pietanza analoga, tipica della Gallura.

Nel primo Novecento, il piatto raggiunse l’apice del successo. Particolarmente rinomate erano le versioni servite nelle trattorie Boschiero e Goba dele Sciatiche. L’interminabile preparazione e la difficoltà nel disporre sempre di colombi giovani imponeva di ordinare con un certo anticipo il piatto, fatto che non scoraggiava neppure i clienti meno alla portata, disposti ad intraprendere ben due viaggi (l’uno per l’ordinazione, l’altro per il consumo), pur di degustare la leccornia.

Meno successo, ebbe nel secondo dopoguerra, rivalorizzata solo in seguito, grazie alla determinazione di Giuseppe Maffioli, che ne recuperò la storica ricetta di Boschiero, per poi diffonderla ai ristoranti della Marca. In tempi più recenti la delegazione trevigiana dell’Accademia Italiana della Cucina ha provveduto a depositarne il testo presso un notaio, accertandone così le specifiche.

LA RICETTA

Sopa coada

Ingredienti per 4 persone

  • 2 piccioni con i fegatini
  • 8/10 fette di pane raffermo di medio spessore
  • burro
  • 2 cipolle
  • 1 carota
  • 1 gambo di sedano
  • 1 bicchiere di vino bianco
  • 1 rametto di rosmarino
  • 1 foglia di alloro
  • 70 grammi di parmigiano grattugiato
  • sale e pepe

Procedimento

Sciogliere il burro in un tegame; rosolare le fette di pane da ambo i lati e conservale da parte. Tagliare testa e zampe dei piccioni e fiammeggiare il busto sul fuoco, per eliminare eventuali piumette e barbigli. Dividere, quindi, le verdure in 2 parti, una tagliata più grossa, da mettere a bollire in pentola con 2 litri d’acqua leggermente salata, per ottenerne un brodo; l’altra metà, da tritare per il soffritto.

Lasciare appassire qualche minuto il soffritto; aggiungere il rosmarino e l’alloro. A questo punto, sfumare con vino bianco, regolare di sale e pepe e cuocere, finché la carne risulti tenera al tatto, verificando la consistenza sulle cosce e sul petto.

A seguire, aggiungere i fegati tagliuzzati in pezzi piccoli, che dovranno cuocere non più di un paio di minuti. Lasciare intiepidire, scartare il rosmarino e l’alloro, spolpare i piccioni, raccogliendo tutta la carne e i fegatini. Aggiungere le ossa e il resto della carcassa del piccione nel brodo con le verdure e lasciar cuocere per 1 ora e 30, finché il preparato si sia ristretto della metà.

Comporre, ora, la ricetta: in una terrina da forno, disporre metà delle fette di pane rosolate; rivestire tutto il bordo, compattando bene. Irrorare e ricoprire con uno strato di carne di piccione, una leggera spolverata di formaggio grattugiato e il secondo strato di fette di pane. Inzuppare, ancora, con altro brodo il secondo strato e spolverare, con il restante formaggio grattugiato.

Cuocere la preparazione in forno a 170 gradi, per 30 minuti. Poi, alzare a 190 gradi, per qualche minuto, in modo da fare gratinare la superfice. Servire bollente, in piatti fondi.

LEGGI ANCHE: ‘Gioiosa et amorosa’… come la Marca trevigiana

LEGGI ANCHE: A tavola oggi c’è… pavone